Contrariamente a quanto pubblicizzato, il costo effettivamente sopportato dal contribuente per far funzionare la Camera nel 2013 è diminuito in modo permanente di un’inezia, 4 milioni. E la spesa per deputati è aumentata di ben 10 milioni.   
di Roberto Perotti (Fonte: lavoce.info

L’ufficio di Presidenza della Camera ha appena deliberato il consuntivo del 2013. Ci sono stati dei piccoli passi avanti. Contrariamente a quanto avevo scritto nell’ottobre del 2012,  le spese per il cerimoniale sono diminuite di 300 mila euro nel 2013, da 570 mila a 280 mila euro: errore mio.  Altre voci di spesa sono diminuite. Recentemente, come è noto, è stato imposto un tetto di 240 mila euro sugli stipendi dei dipendenti, a cui però può aggiungersi  una indennità di posizione da determinarsi. Il risparmio da questa misura non è noto.

Ma secondo i calcoli che presento in questo articolo (con maggiori dettagli nell’ebook che può essere scaricato qui), il peso effettivo della Camera sul contribuente è diminuito nel 2013 in modo permanente di soli 4 milioni, circa lo 0,5 percento (1). Niente, di fronte alla scandalosa situazione di partenza. Quando serve l’accetta, usare il cesello può essere pericoloso, perché può generare l’illusione che si stia risolvendo il problema.

Il costo netto della Camera

L’anno scorso, in sede di bilancio di previsione per il 2013, la Camera dei deputati annunciò con una grande operazione di marketing che aveva ridotto la richiesta per la dotazione che riceve ogni anno dallo Stato di 50 milioni di euro. L’interpretazione ovvia e naturale di questa affermazione è che dal 2013 la Camera avrebbe pesato sul contribuente 50 milioni meno che nel 2012. Ma non è così,  nemmeno lontanamente.

Per dimostrarlo,  è necessario calcolare esattamente il costo netto della Camera per il contribuente. Questo costo non è la dotazione che lo Stato trasferisce alla Camera ogni anno, per tre motivi:
1. La Camera usa la dotazione per pagare le indennità e gli stipendi lordi.   Ciò che conta dal punto di vista del contribuente sono però le indennità ai deputati e gli stipendi ai dipendenti netti da tasse.
2. La Camera ha altre, seppur piccole, entrate,  quali gli interessi attivi, le entrate dalla vendita di atti e pubblicazioni, da servizi di ristorazione etc.
3. Infine, la Camera può decidere di “restituire” allo Stato delle somme, cioè parte della dotazione.

Tutte queste tre voci – tasse, altre entrate non da trasferimenti statali, e somme restituite allo Stato – devono essere sottratte dalla spesa totale. La cifra così ottenuta può esser chiamata il costo netto della Camera. Questa cifra rappresenta quanto pesa la Camera sul contribuente.

Il costo netto è diminuito?

La riga 1 della Tabella 1 riporta il costo netto della Camera effettivamente pagato nel 2012 (colonna a) e nel 2013 (colonna b), e la differenza (colonna c). Secondo questo dato, il costo netto nel 2013 è diminuito di 67 milioni, ancor più dei 50 milioni di cui si è ridotta la dotazione statale. Un risultato apparentemente eccezionale, una riduzione di quasi il 10 percento del costo netto in un anno.

Tabella 1: Il costo netto della Camera, 2012 e 2013
Fonti: Consuntivo della Camera 2012 e 2013 

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La stragrande maggioranza di questo miglioramento è tuttavia apparente, per due motivi. Ci sono  due modi universalmente utilizzati per abbellire i conti di un’ azienda: ridurre i contributi netti ai fondi di riserva, per esempio al fondo per i crediti in sofferenza in una banca; e rimandare i pagamenti agli esercizi futuri. Il primo metodo è anche noto come“raiding the fund”, cioè usare i fondi di riserva come bancomat temporaneo per tappare le falle; il secondo genera residui passivi, cioè somme che ci si è impegnati a pagare ma che non vengono effettivamente pagate nell’esercizio in corso.

I 67 milioni di riduzione del costo netto nella riga 1 sono frutto di entrambi questi escamotage.

Il primo escamotage…

Il primo escamotage riguarda  un fondo molto poco noto, il Fondo di solidarietà fra gli onorevoli deputati, di cui troverete pochissime notizie su internet. Questo fondo è destinato a pagare parti delle pensioni e dell’assistenza ai deputati e ai loro superstiti. Il fondo è alimentato da contributi versati  dai deputati, circa 15 milioni l’anno nel 2012 e nel 2013. Nel 2013, come già avevo denunciato nell’ottobre 2012, si è deciso di “ritirare” 40 milioni da questo fondo  per finanziare le spese della Camera. Questo è equivalente a ridurre i contributi netti al fondo, in questo caso da 15 milioni a -25 milioni. Un classico caso diraiding the fund.

Con un raid di 40 milioni all’anno, il Fondo sarà esaurito nel 2016,  secondo lo stesso consuntivo della Camera (p. 6). A quel punto, il contribuente sarà chiamato a pagare di nuovo. In altre parole, il raid è solo un costo differito per il contribuente (pe runa dioscussione più approfondita, si veda l’ ebook). Quello che sappiamo con certezza è che a fronte di questo raid temporaneo non vi sono misure  strutturali di riduzione della spesa. Se dunque non si tiene conto degli effetti di questo raid, il costo netto totale pagato diminuisce nel 2013 di 27 milioni invece che di 67 milioni (riga 2). Molto meno, ma sempre un risultato rispettabile.

… E il secondo escamotage

Ma anche questi 27 milioni di riduzione sono in gran parte apparenti. La ragione è che sono in gran parte frutto del secondo escamotage tipico, l’aumento dei residui passivi. Come abbiamo visto, questo  consiste nel ridurre i pagamenti ma non gli impegni, cioè nell’aumentare i residui, ammontare che ci si è impegnati a pagare ma il cui esborso effettivo viene rimandato agli anni successivi.

Ma quello che è rilevante per il contribuente sono gli impegni (a meno che non si abbia intenzione di cancellarli, ovviamente): che essi siano pagati entro il 31 dicembre del 2013, o il 1 gennaio del 2014 per abbellire i conti del 2013, non fa nessuna differenza per il contribuente.

Un aumento sostanziale dei residui passivi  è esattamente ciò che è avvenuto: come mostra la riga 3, essi sono aumentati di ben 17 milioni. Il risultato finale è che gli impegni di spesa che formano il costo netto sono diminuiti di soli 10 milioni (riga 4) , circa un settimo dei 67 milioni da cui siamo partiti.

Risultato: il costo netto è sceso in modo permanente di pochi milioni…

Ma anche questa riduzione di 10 milioni è una sovrastima della riduzione permanente effettiva. Essa è il risultato di due eventi fortuiti che non dipendono dalle azioni della Camera. Primo, le elezioni del 2013, che hanno chiuso la Camera per qualche tempo e hanno causato una riduzione della spesa per collaboratori esterni di circa 4 milioni. Secondo, il raddoppio degli interessi attivi da 2 a 4 milioni.

Se si tolgono questi due eventi fortuiti, il  costo netto della Camera si è ridotto nel 2012 di 4 milioni, al netto del trasferimento dal Fondo di Solidarietà. Una riduzione dello 0,5 percento. Decisamente poco, o niente, a fronte della scandalosa situazione iniziale.

… Mentre la spesa per i deputati è aumentata di 10 milioni

Che non vi sia stata alcuna misura strutturale di riduzione della spesa è evidente dalla voce più politicamente e mediaticamente visibile e dibattuta dell’ intero bilancio della Camera: la spesa per i deputati (indennità e pensioni). Come mostra la Tabella 2, i pagamenti per indennità  sono aumentati di 2 milioni nel 2013; vi  è stata una diminuzione di 9 milioni nei pagamenti per pensioni (riga 2). Ma anche questa riduzione è illusoria. Essa è dovuta a un fortissimo aumento dei residui, di ben 16 milioni (riga 4), dovuti a un aspetto tecnico (discusso nel’ ebook).  Il risultato è nelle righe 5 e 6: gli impegni di spesa su questa voce sono aumentati complessivamente di 10 milioni (3 per le indennità e 7 per le pensioni).

Come si può parlare di riduzione strutturale della spesa della Camera quando la voce più importante è aumentata di ben 10 milioni?

Tabella 2: Spesa per deputati, 2012 e 2013
Dati in milioni di euro. Fonti: Consuntivo della Camera 2012 e 2013 

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Scarica (PDF, 567KB)

(1) A questo indirizzo, è possibile scaricare il file excel utilizzato.

Bio dell’autore

Roberto Perotti – Laureato all’Università Bocconi, ha conseguito il PhD in Economics al MIT di Cambridge, Massachusetts nel 1991. Dopo 10 anni di insegnamento alla Columbia University di New York (dove ha conseguito la cattedra a vita) e due anni all’European University Institute di Firenze, nel 2005 diventa professore ordinario all’Università Bocconi, dove è anche membro del centro di ricerche IGIER, di cui è stato direttore dal 2006 al 2008. I suoi interessi scientifici sono prevalentemente in macroeconomia, e in particolare nello studio degli effetti delle politiche di bilancio. È Research Fellow presso il Center for Economic Policy Research (CEPR) di Londra e Research Associate presso il National Bureau of Economic Research (NBER), Usa. È stato consulente del Fondo Monetario Internazionale della Banca Mondiale, della Inter-American Development Bank, della Banca Centrale Europea, e della Banca d’Italia, e Academic Consultant del Federal Reserve Board di Washington. È stato co-direttore del Journal of the European Economic Association. È editorialista del Sole 24 Ore. Ha pubblicato “Meno Pensioni, Più Welfare” (Il Mulino, 2002, con Tito Boeri, ) e “L’Università Truccata” (Feltrinelli, 2008). 
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