Era il 28 giugno del 1969. “Sylvia Rivera” ricorda Sergio Prato, del Coordinamento Arcobaleno di Milano, “una donna transessuale esasperata dalle continue violenze omofobe della polizia allo Stonewall Inn, un pub di New York, lanciò una bottiglia di birra in testa ad un agente scatenando proteste di strada passate alla storia come i moti di Stonewall. La comunità gay allora cominciò a reagire, stanca di vivere nascosta e oppressa”. Da quel giorno, con l’inizio dell’estate, in tutto il mondo si festeggiano i pride. Quest’anno, dopo l’avventura romana appena trascorsa, per celebrare quella rivoluzione che ha portato matrimonio e piena uguaglianza in molti paesi (eccetto il nostro) di vecchia e nuova democrazia, qui in Italia si celebrerà l’Onda Pride proprio sabato, per l’anniversario dell’evento. “Un pride in ogni città, come è il primo maggio”, precisa Marco Mori, presidente del Cig di Milano. Le città interessate saranno dieci in contemporanea, più altre quattro in date diverse, dalle Alpi alle isole. “Favorire la veicolazione del messaggio politico attraverso iniziative regionali e con il contributo delle realtà locali, che hanno capacità di penetrare nel territorio, è un valore aggiunto”.

Ma non si parlerà solo di questione omosessuale. “La nostra” precisa Mori “è una manifestazione inclusiva e rivendicativa di quei diritti di cittadinanza ancora negati, per questo apriranno il pride proprio le comunità migranti”. La rivendicazione Lgbt si apre a tutta la società, quindi. E proprio per questo motivo a Catania è stato organizzato il secondo pride tematico, centrato sul tema del lavoro dopo quello dedicato alla salute delle persone sieropositive del 2013. “Portiamo avanti una riflessione per unificare politiche di liberazione sessuale con altre tematiche” dichiara Alessandro Motta, presidente di Arcigay QueeRevolution “perché una persona Lgbt non vive solo di diritti civili, ma questi hanno senso se garantiti in un sistema che tutela anche quelli sociali. Occorre sanare la ferita storicamente prodotta tra questi ambiti. Oggi, se ho il denaro, posso permettermi di sposarmi all’estero e poi magari vedere riconosciuto il mio matrimonio in Italia, a Grosseto o Napoli. Chi non può permettersi tutto questo, perché non ha lavoro, non potrà avere le stesse opportunità”.

Una manifestazione anno dopo anno sempre più importante e coinvolgente e che sempre in Sicilia, nel capoluogo, lo scorso anno “ha fatto scendere in piazza 150.000 persone, ha registrato il tutto esaurito nelle strutture alberghiere cittadine (non accadeva da quindici anni!) e ha contato più di 200.000 ingressi al village, presso i Cantieri Culturali della Zisa” afferma orgogliosa Giulia Alagna, portavoce del Palermo Pride. “È il pride di tutta la città” aggiunge Daniela Tomasino, di Arcigay “parte dalla comunità Lgbt, ovviamente. Ma si allarga, in un confronto continuo con le altre realtà cittadine. E ha contribuito in modo determinante a cambiare la nostra vita. La gente ha ormai capito che siamo tanti, con forti appoggi nella società civile e nelle istituzioni. Siamo una forza con cui fare i conti”. E la politica? “Abbiamo forze dichiaratamente contrarie all’agenda del movimento, altre a favore ma senza i numeri e altre che propongono un qualcosa che non è mai chiaro, definito e sicuro” dice Mori. Si configura, perciò, un deficit di democrazia tra quanto la classe dirigente è (in)capace di produrre e le richieste specifiche delle associazioni: “La richiesta di leggi, innanzi tutto” aggiunge Vincenzo Branà, presidente del Cassero di Bologna “il riconoscimento delle relazioni, il matrimonio e l’omogenitorialità, ma anche la tutela delle identità come nel caso della legge sulla riattribuzione del genere. E non solo: c’è un intero welfare da ricostruire, che ha già modelli pionieristici in alcune parti d’Italia e che deve farsi carico anche dei bisogni della nostra comunità”.

In buona sintesi: sabato 28 giugno in tutta Italia si potranno sentire dai balconi delle nostre case le note allegre della giornata dell’orgoglio Lgbt. Non resta che aprire i balconi, accogliere l’abbraccio di una delle tante metà del cielo – quella da cui nasce l’arcobaleno, a ben vedere – e magari scendere in piazza, per ballare, divertirsi, per chiedere con le grammatiche della gioia il diritto alla felicità. Una felicità che la gay community non chiede solo per se stessa, ma reclama alla società per il benessere di tutti e tutte.

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