A volte per evidenziare una contraddizione basta Photoshop. Lo ha fatto il quotidiano Die Welt qualche mese fa, quando ha pubblicato una immagine della squadra svizzera molto particolare. Solo Michael Lang, Fabian Schar, Reto Ziegler e Steve Von Bergen erano visibili. Tutti gli altri giocatori cancellati. Da pochi giorni la confederazione aveva votato un referendum anti immigrazione per limitare la presenza di stranieri sul territorio elvetico. Guardate come sarebbe ridotta la vostra nazionale con questa mentalità, diceva quella foto.

La Svizzera è testa di serie del girone E, se la vedrà con i vicini di casa della Francia e con l’abbordabile coppia EcuadorHonduras. Almeno sulla carta la strada verso gli scontri diretti è spianata e allora vale la pena cullare l’ambizione di ripetere l’exploit di 60 anni fa, quando a domicilio i rossocrociati arrivarono fino ai quarti. Impensabile fino a poco tempo fa. Poi si sono incrociati almeno due fattori ed è iniziato l’apogeo pallonaro del paese. Per prima cosa il lavoro di Ottmar Hitzfeld ha iniziato a dare i suoi frutti. Il tedesco, 65 anni, è uno degli allenatori più vincenti del calcio recente e uno dei pochi ad avere uno stadio intitolato mentre è ancora in vita: l’Ottimar Hitzfeld Stadium è il più alto d’Europa, ai 2000 metri di Zermatt. Dopo il Mondiale lascerà nelle mani dell’ex laziale Petkovic una squadra sorprendente.

L’altro fattore determinante è rappresentato dall’ossatura della squadra, composta dalla generazione di talenti che nel 2009 vinse il Mondiale Under 17. Nella rosa di allora c’erano solo pochi nomi che richiamassero al trilinguismo in vigore: Haris Seferovic, Granit Xhaka, Ricardo Rodriguez. Loro sono alcuni dei calciatori cancellati da Die Welt, ma la lista è lunga. Tra i 30 calciatori convocati dal ct Hitzfeld nell’anno solare 2013, 17 hanno origini straniere. Il capitano è Gokhan Inler: ha disputato un match con la Turchia under 21 e 74 con la maglia svizzera. “Mio padre si trasferì in Svizzera per lavoro quando io ancora non ero nato – raccontò dopo il referendum -. Ho trascorso tutta la mia infanzia qui. In Nazionale non ci interessano le origini dei singoli giocatori: siamo tutti svizzeri, facciamo parte della stessa squadra e perseguiamo gli stessi obiettivi”. In nazionale e nel Napoli condivide il centro del campo con Blerim Dzemaili, nato in Macedonia da una famiglia albanese e Valon Behrami, anche lui albanese nato in Kosovo. Una storia simile a quella di Xherdan Shaqiri, talentuoso esterno del Bayern MonacoNon ha granché del ticinese nemmeno il difensore dell’Amburgo Johan Djorou. Lui è nato a Abidjan, in Costa d’Avorio, nel 1987. A 17 mesi è stato adottato e ha trascorso la sua infanzia a Ginevra.

L’elenco è lungo: Gelson Fernandes viene da Capo Verde, Philippe Senderos è per metà serbo e per metà spagnolo, Josip Drmic, Mario Gavranovic e Admir Mehmedi arrivano tutti dall’ex Jugoslavia. I genitori del portiere Diego Benaglio, infine, erano di San Fedele Intelvi, in provincia di Como. Tecnicamente lui è un immigrato di seconda generazione. Non è un fenomeno nuovo in un paese in cui i flussi migratori proseguono da quasi due secoli e più del 20% della popolazione è composta da nuovi svizzeri. Alcuni dei giocatori che hanno fatto la storia della nazionale hanno cognomi come Turkyilmaz o Yakin.

Negli ultimi anni le politiche sportive confederali hanno accelerato il processo, puntando sulle naturalizzazioni. Il risultato è un mix di tattica e forza fisica da fare invidia a numerose big del calcio mondiale. La presenza di squadre multietniche è un degli aspetti più interessanti del Mondiale brasiliano. A inaugurare il trend ci pensò qualche anno fa la Germania. Dopo il sogno infranto di alzare la Coppa al cielo di Berlino nel 2006 si cambiò rotta mettendo al primo piano svecchiamento e integrazione. Il risultato fu la meravigliosa generazione di Ozil, Khedira e Boateng.

Negli ultimi anni l’esempio è stato imitato un po’ da tutti. In parte dall’Italia, secondo altre dinamiche, soprattutto da Belgio, Stati Uniti e appunto SvizzeraChi dovesse storcere il naso per questo collettivo così poco tradizionalista potrà riservare il suo tifo a Fabian Schar. Il centrale di difesa rappresenta un’eccezione nella squadra di Hitzfeld. E’ nato 23 anni fa a Wil, nel Canton San Gallo, e fino a due anni fa giocava nella squadra della sua città dove si divideva tra il campo d’allenamento e la filiale della banca per cui lavorava part time. Poi fece il salto di qualità e finì al Basilea, dove ha da poco rivinto il titolo elvetico. Barcellona, Borussia, Inter e Arsenal se la contendono. E’ forte per davvero, ma non abbastanza per vincere un Mondiale da solo.

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