In linea ideale, sarei per la sparizione immediata, ma che dico immediata, più veloce della luce dell’istituzione Senato. Ho maturato questo pensiero eversivo dopo vent’anni da cronista politico, vent’anni di buonissimo marciapiede, in cui ho visto mandrie di senatori al bivacco, ho apprezzato la loro disinvoltura nell’adagiarsi felicemente nelle mollezze dei privilegi senatoriali e da lì non spostarsi più per ere ed ere. Ho visto mangiare orrende mortadelle come nella più squallida delle trattorie sporche, ho conosciuto galeotti che se ne stavano serenamente in attesa della Signora Giustizia che non arrivava mai, ho percepito distintamente la “profondità” dei loro sentimenti (dei senatori), quando vivevano quell’esperienza come lo sbarco nel grande mondo dei fancazzisti in servizio permanente effettivo (non tutti, per carità). Sono vent’anni che mi hanno segnato, lo ammetto.

Per tutto questo, sono quindi il cittadino ideale per accogliere con entusiasmo la riforma costituzionale immaginata da “Renzi and friends”. Non mi è piaciuto neppure il presidente Grasso che, da seconda carica dello Stato, è entrato nel delicatissimo problema a piedi giunti, con una forma di sottile ricatto (guardate che non ci sono i numeri) e da istituzione che sarebbe dovuta rimanere “terza” come recita la sua altissima funzione.

Detto tutto questo, mi resta una domanda fondamentale da girare per diretta competenza al presidente Renzi: ma questo “nuovo” Senato cosa caspita dovrebbe fare? Sapete che non ho capito, eppure sto studiando, mi sto informando come voi, cerco di analizzare, valutare serenamente, immaginando i nuovi scenari. Oggi, per esempio. Una lunga, lunghissima, intervista del premier al Corriere della Sera avrebbe dovuto sgomberare tutti i dubbi residui. Una pagina e mezza di giornale a firma Aldo Cazzullo. Mi sono detto: ci siamo. Adesso gli farà la domanda, naturalmente più elegante di quella che ho posto io. E infatti Cazzullo la fa: “Ma cosa rimarrebbe da fare al Senato secondo lei?”.

Fate attenzione alle parole usate da Cazzullo. Se anche un giornalista navigato e autorevole come lui dice “ma cosa rimarebbe da fare…”, vuol dire che anche lui, in cuor suo, sta pensando che al Senato e ai senatori che verranno dopo la riforma, toccherà non fare una mazza. Penso che Renzi abbia una buona occasione per smentire le malelingue e aspetto ansiosamente la risposta. Testuale, da Renzi: “Il nuovo Senato non lavora tutti i giorni su tutte le proposte di legge, ma su quelle che riguardano la Costituzione, i territori, l’Europa. Vogliamo discutere una funzione in più o in meno? Benissimo”.

Qualcuno mi faccia sapere cosa ha capito da questa risposta. Vi dico che cosa ho capito io: si parla di grandi temi ma fumosissimi, l’Europa, i territori, la Costituzione, senza specificare, come sottolinea Michele Ainis, il costituzionalista, quali siano “i dettagli, che in queste faccende sono invece l’essenziale, perché fin qui ne conosciamo solo i contorni”. Allora, la conclusione è semplice: neppure Renzi sa che cosa farà il “suo” Senato, ma è forte il sospetto che faccia esattamente quello che faceva il suo predecessore: una benemerita mazza.

Non contento, mi sono sciroppato una dottissima pagina del bravo Dino Martirano (sempre Corriere della Sera) in cui si spiegano i punti distintivi della riforma. Sono quattro. Due condivisi più o meno da tutti: “…L’Assemblea delle Autonomie, ciò che resterà del Senato attuale, non voterà più la fiducia al governo né le leggi di bilancio[…]Fine del bicameralismo paritario”. Sul terzo e quarto paletto, invece, c’è battaglia: “[…]I senatori in carica dovrebbero stabilire che il Senato sarà in tutto e per tutto non elettivo che i 120-150 rappresentati dell’Assemblea delle autonomie non rappresentano più la Nazione (come i colleghi deputati)[…] e che i senatori territoriali non saranno più retribuiti perché già stipendiati a livello locale”.

A questo punto, tocca trarre qualche conclusione. Per quelle fumosissime funzioni, talmente di respiro larghissimo da risultare totalmente indistinte, è del tutto inutile che 150 rappresentanti delle Autonomie vengano a bivaccare (nuovamente) a Roma, anche se retribuiti dalle istituzioni locali. Se ne stiano serenamente nei loro territori, facendo così risparmiare ai cittadini le spese di trasferta e si metta finalmente in luce il valore primario della Rete. Si lavora da casa, dal comune, dalla Regione, ci si incrocia online, al massimo un numero limitato di telefonate se qualche zucca risulta più dura.

Gentile presidente Renzi, molto prima di un attentato alla nostra Carta, il suo è un autentico attentato al buon senso.

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