Adesso la disputa su chi ha vinto e chi ha perso lascia il tempo che trova, anche perché è molto interna al mondo dell’informazione e di quei giornalisti che a Montecitorio Grillo maltratta e che Renzi invece chiama per nome. Lo streaming tra il premier incaricato e il leader Cinque-stelle non è un talk show da misurare con l’Auditel, ma la puntata spettacolare e rovente di una guerra dei mondi dove alla fine a sopravvivere sarà uno solo.

Fin dal primo incontro con Bersani (e poi con Letta) fu chiaro che Grillo non avrebbe concesso un solo centimetro al Pd e che anzi avrebbe approfittato delle dirette web per manifestare totale repulsione verso un sistema “marcio”, irriformabile e destinato a sicura autodistruzione. Lo stesso concetto espresso con brutale chiarezza nel tumultuoso incontro con Renzi: “Tu sei una persona buona, ma rappresenti gente che ha disintegrato l’Italia”. Dove il complimento “buono” va inteso come un’aggravante. Rifiuto peraltro gradito dal rottamatore che ha potuto dimostrare una volta di più l’inaffidabilità democratica dell’ex comico, compiangendo tristemente i suoi illusi elettori.

Ora, però, la posta in gioco non è più quell’elettorato di confine che i Democratici tentano di recuperare dal voto di protesta. Il governo Renzi è molto di più di un giro di giostra da concedere a un giovanotto sveglio. Perché, se fallisce Grillo, finisce il tentativo di gestire con gli strumenti parlamentari un dissenso di massa quale non si era mai visto. Ma, se fallisce Renzi, si esaurisce l’ultima speranza di restituire un minimo di credibilità a una politica mai così sputtanata. E allora per Grillo si aprirebbero le più vaste praterie. Insomma: o di qua o di là e fine delle ambiguità. Perciò i sette minuti a quattr’occhi tra Renzi e Berlusconi sono più preoccupanti dei nove minuti di scazzo tra Grillo e Renzi, ma alla luce del sole.

Il Fatto Quotidiano, 20 febbraio 2014

 

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