La giunta militare egiziana, responsabile del colpo di Stato dello scorso 3 luglio, che ha deposto il governo post-Mubarak del “Fratello Musulmano” Mohamed Morsi, potrebbe essere portata davanti alla Corte dell’Aja (Icc) per rispondere di crimini contro l’umanità.

I fatti riguarderebbero le violenze compiute dall’esercito regolare, guidato dal Capo del Consiglio Supremo di Difesa egiziano Abdel Fattah el-Sisi, a danno dei supporter del regime islamista, deposto all’indomani del discorso del militare alla nazione e della nomina a reggente, in attesa di nuove elezioni, del giudice Adly Mansour.

Caos ed l’instabilità nel paese, hanno reso dalla scorsa estate l’atmosfera incandescente: centinaia i sostenitori di Morsi uccisi durante gli scontri di piazza mentre l’organizzazione dell’ex presidente è stata messa al bando. Chiusi inoltre gli organi di stampa vicini ai Fratelli Musulmani.

L’annuncio è arrivato da Londra, dove un prestigioso gruppo di pressione, che vede tra gli altri l’ex alto funzionario delle Nazioni Unite, il sudafricano John Dugard – noto per le sue posizioni a favore della causa palestinese- e due noti avvocati inglesi esperti in diritti umani, Tayab Ali e Rodney Dixon, ha tenuto lunedì scorso una conferenza stampa, in occasione della quale è stata presentata l’iniziativa. Tra i promotori anche l’ex docente, deputato (del disciolto parlamento eletto nel 2012) e Fratello Musulmano Abdul Mawgoud Dardery, fuggito in Turchia dopo il golpe che in un’intervista rilasciata a margine della conferenza stampa, si è detto convinto che all’Aja riconosceranno le ragioni del legittimo governo egiziano (quello uscito dalle elezioni del 2012). Benché quel governo non eserciti, al momento, alcuna sovranità.

Certo è piuttosto improbabile che la Cpi, che ha recentemente sperimentato con il Kenya a cosa si va incontro incriminando vertici politici in carica, si avventuri sul terreno accidentato della “determinazione di sovranità”, soprattutto perché l’Egitto non ha ancora completato la sua adesione allo Statuto di Roma: allo stato attuale, i giudici dell’Aja non hanno alcuna giurisdizione sulle complesse (e drammatiche) vicende seguite alla Primavera Araba. Il governo in esilio, vorrebbe appellarsi al terzo comma dell’art. 12 dello Statuto di Roma, che prevede la possibilità di estendere il giudizio della Corte anche ad uno stato non membro, a patto che il governo di questo paese terzo, accetti formalmente l’intervento della Cpi.

Probabilmente le scarse probabilità di riuscita dell’operazione, come osservato dal ricercatore, esperto di diritto umanitario della London School of Economics, Mark Kersten al sito nordamericano the globe and mail, sono state considerate anche dal prestigioso team legale che sta seguendo gli esponenti del governo egiziano deposto. L’obiettivo sarebbe prettamente politico: la comunità internazionale, con ben poche eccezioni, ha cercato di evitare embedding nelle vicende seguite al golpe del 3 luglio (evitando tuttavia di usare la definizione”colpo di stato” sostituita da una più amichevole “rivoluzione”) mentre il gruppo di pressione che sostiene le ragioni dei Fratelli Musulmani, vorrebbe tenere alta l’attenzione sulla vicenda. Nel file spedito all’Aja, si parla di 1120 civili trucidati e di una lunga lista di crimini documentati che vanno dalla tortura, alla persecuzione, fino alla sparizione di diversi oppositori della giunta militare che supporta il governo di transizione in carica. 

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