Le truppe dell’esercito contro quelle dei minatori in sciopero. Dai faldoni dell’archivio nazionale britannico – che nei giorni scorsi ha rilasciato preziosi documenti prodotti dal governo di Margaret Thatcher – emergono alcuni scritti che dimostrano come, almeno in un paio di occasioni, l’allora primo ministro, la ‘Lady di Ferro’ scomparsa nel 2013, avesse pensato di usare militari e mezzi blindati per porre freno agli scioperi nelle miniere. Era il1984 e le proteste stavano mettendo in ginocchio il Paese, con il timore anche di ripercussioni sulle scorte di cibo e di elettricità. “Dovremmo usare almeno 2.800 uomini per poter trasportare il carbone verso le stazioni di smistamento”, scrisse la leader dei conservatori di allora, lasciando intendere che, tuttavia, l’esercito avrebbe anche potuto offrire qualche servizio in più. Come, perché no, reprimere eventuali rivolte. Sempre dai documenti del governo, emerge come questa ultima opzione, in realtà, fosse considerata come proprio l’ultima delle soluzioni, anche in seguito all’intervento di un ministro che a verbale fece notare: “Ormai è dagli anni Cinquanta che in questo Paese l’esercito non viene utilizzato per mettere a tacere uno sciopero. Un suo eventuale utilizzo metterebbe a repentaglio la sicurezza e creerebbe ulteriori disordini”.

Eppure lo stato di emergenza era nella mente della Lady di Ferro, preoccupata, in quei giorni, anche per il supporto sovietico allo sciopero dei minatori. L’argomento fu anche al centro di alcuni incontri con Gorbaciov, proprio a Downing Street, e il timore di Thatcher nasceva da alcune indiscrezioni giunte dall’MI5, una delle sezioni dei servizi segreti britannici. Le preoccupazioni del primo ministro, comunque, pare avessero un riscontro nella realtà. Sempre alcuni documenti riservati provenienti dall’archivio nazionale indicano in “milioni di dollari” il flusso di denaro che, dalle terre russe, cercò di arrivare ai minatori dello Yorkshire e di altre parti del Regno Unito. Almeno una transazione, di oltre un milione 200mila dollari, fu bloccata da una banca svizzera dopo le rimostranze britanniche. Mentre sono trasparenti e documentati quei fondi provenienti dai sindacati dell’allora Unione sovietica e destinati alle ‘unions’ dei minatori e dei lavoratori portuali, anch’essi in agitazione.

Infine, ultimo fronte sul quale si stanno concentrando gli storici in questi giorni è quello di Mandela e del vero ruolo del primo ministro Thatcher nella causa per la sua libertà. Nel 1984, l’allora presidente sudafricano Pieter Willem Botha fu invitato a Londra e andò a colloquio proprio con Thatcher. L’elemento più sorprendente emerso in questi giorni è che nessuna delle trascrizioni degli incontri riporterebbe un reale interessamento o appoggio alla causa di Mandela da parte del primo ministro britannico. Il nome del futuro presidente, il primo nero della storia sudafricana e uno dei difensori dei diritti di tutti in quel Paese, appare nelle trascrizioni – anche se non tutti gli incontri furono registrati – pochissime volte e solo in brevi passaggi. Poi Thatcher incontrò Mandela nel luglio del 1990, a Downing Street, dopo che era stato liberato. Tante mani furono strette e tante fotografie furono scattate, ma ora la lettura di documenti tenuti segreti per trent’anni potrebbe dare un significato diverso a quei sorrisi su pellicola. 

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