Se andrà in porto, il secondo salvataggio Alitalia andrà in scena grazie alle Poste Italiane mercoledì 20 novembre in assemblea hanno modificato lo statuto per prepararsi al via libera all’operazione con lo scioglimento di nodi importanti. Come il vincolo della contestuale partecipazione di un’altra compagnia aerea che si fa particolarmente sentire dopo il dietro front definitivo di Air France e il niet di Aeroflot mentre Etihad per ora sembra più interessata ai cieli svizzeri. La parola, quindi, passa al ministro Saccomanni che dovrà sciogliere le sue comprensibili riserve sul salvataggio pubblico degli ex patrioti. In ogni caso, se arriverà il via libera, l’amministratore delegato del gruppo pubblico, Massimo Sarmi, ha già assicurato che non saranno toccati i risparmi dei cittadini. Non può del resto essere utilizzata “alcuna risorsa proveniente da conti correnti postali, da buoni o da libretti postali”. Per sottoscrivere pro-quota l’aumento di aumento di capitale di Alitalia, su cui vigila Bruxelles nel rispetto nella legge contro gli aiuti di Stato mascherati da operazioni finanziarie fra privati, saranno quindi utilizzati non i depositi, bensì i guadagni realizzati dal gruppo Poste Italiane grazie anche ai depositi. Una piccola parte di quel miliardo di utili registrati nel 2012 su un giro d’affari da 20 miliardi di euro. Denaro che normalmente in azienda finisce in riserve, investimenti o cedole per l’azionariato. Che, nel caso di specie, è rappresentato dal ministero dell’Economia e delle finanze al quale, come riporta il bilancio 2012, il gruppo Poste italiane ha staccato un dividendo da 0,27 euro per azione per un totale di 350 milioni. Una somma consistente in tempi di austerity e di spending review rientrata nelle casse dello Stato grazie alla gestione di un gruppo che ha 32 milioni di clienti e dà lavoro a 150mila dipendenti.

LE ORIGINI DEI PROFITTI DELLE POSTE. Ma come è riuscito il gruppo guidato da Sarmi a produrre un guadagni così consistenti? Semplice, le Poste del 2012 non sono più il servizio di spedizione universale e di raccolta risparmio solo per libretti e buoni fruttiferi che raddoppiano il proprio valore. O meglio, non solo questo, come testimonia il fatto che la metà del fatturato viene dai servizi assicurativi di PosteVita, il polo nato nel 1999 sulla scia del piano di ristrutturazione triennale lanciato dall’allora amministratore delegato, Corrado Passera, chiamato poi nel 2002 a diventare il nuovo ad di Intesa e ad avere un ruolo chiave nel primo salvataggio Alitalia del 2008 sotto il governo di Silvio Berlusconi. “Prima dell’arrivo di Passera le Poste erano assolutamente inefficenti e bruciavano ingenti risorse pubbliche – racconta Alessandro Pedone consulente sui temi finanziari dell’Associazione dei consumatori Aduc che in più occasioni ha denunciato l’aggressiva politica commerciale di Poste Italiane – Passera subito si rese conto che non si poteva contare solo sul servizio postale per risanare il gruppo, né era possibile immaginare enormi tagli di dipendenti perché politicamente e socialmente insostenibili. Così immaginò un nuovo driver di crescita trasformando il servizio postale e di raccolta di risparmio in buoni e libretti in una sorta di connubio fra banca e assicurazione. Con questo nuovo modello il gruppo è tornato in utile. Ma il passaggio non è stato gratuito per i clienti”.

GLI STRAORDINARI RINCARI DEI SERVIZI POSTALI. Dall’inizio dell’era Passera e poi con Sarmi i costi dei servizi postali e di spedizione sono progressivamente aumentati. La posta ordinaria per le lettere scompare con decreto ministeriale nel 2006, ma già in precedenza viene soppiantata dalla posta prioritaria che, nata nel ’99, oggi costa 70 centesimi contro i 60 del 2012 e i 41 centesimi del 2003 (circa il 30% in più rispetto ad oggi) della ordinaria. Dinamica analoga per la consegna pacchi: il pacco celere 3 che fino a quattro anni fa costava una decina di euro e consentiva la consegna in tutta Italia fino a 30 Kg, oggi invece, per lo stesso peso, ha un prezzo di 17,90 euro, il 70% in più.

LO ZAMPINO DELLA FINANZA. Fin qui sui servizi postali, poi c’è lo sviluppo dei prodotti bancari e finanziari con tutti i costi annessi e connessi. Il conto corrente, posseduto da oltre 5 milioni di italiani, ha assistito lo scorso anno ad un rincaro delle tariffe del 60% da 30,99 euro a 48 euro con il costo dei dei bonifici effettuati negli uffici postali in aumento del 40%, da 2,5 a 3,5 euro e il libretto degli assegni, inizialmente gratuito, concesso al prezzo di 3 euro. Rialzi consistenti che hanno immediatamente fatto scattare le proteste di Adusbef e Federconsumatori, che hanno sottolineato come il BancoPosta sia un prodotto di massa, molto popolare tra i risparmiatori con un reddito medio-basso. Critiche alle quali le Poste hanno opposto il fatto che fosse possibile evitare i rincari con il conto online PosteClick oppure associando al conto un paio di prodotti come accredito dello stipendio, domiciliazione bollette, mutui o fondi.

E LA CILIEGINA DELLE ASSICURAZIONI. La metamorfosi finanziaria delle Poste si è completata poi con Poste vita. Compagnia assicurativa che controlla anche Poste assicura (ramo danni) e BancoPostaFondi spa sgr, società di gestione con un patrimonio gestito da 3,266 miliardi. Quest’ultima ricalca esattamente il modello bancario con tutti i suoi complessi prospetti informativi, i suoi prodotti complicati e i suoi costi per il cliente. “L’industria del risparmio gestito è inutilmente costosa. Secondo Mediobanca ci sarebbero almeno una ventina di miliardi di costi inutili nel settore – riprende Pedone – Perchè del resto comprare un prodotto incomprensibile pagando una commissione quando si può acquistare da soli un’azione o un’obbligazione senza pagare il dazio all’intermediario? I prodotti finanziari sono un costo superfluo e ingiustificato per la clientela. Finchè sono le banche a venderli, nel rispetto delle regole, nulla questio. Sono soggetti privati. Ma che lo facciano anche le Poste, che sono espressione dello Stato, è davvero un fatto inaccettabile”. Soprattutto perché fra i clienti delle Poste ci sono tanti pensionati e persone con bassa alfabetizzazione finanziaria che rischiano di acquistare prodotti suggeriti allo sportello. Già perché, esattamente come accade in banca, anche gli uffici postali hanno degli obiettivi da raggiungere. Fra questi anche il collocamento di fondi. “Se un pensionato si presenta allo sportello volendo rinnovare il proprio buono fruttifero e gli dicono che in effetti esiste un fondo che tutto sommato è la stessa cosa e che anzi rende di più, allora è naturale che lo sottoscriva in buona fede. Salvo poi ritrovarsi con perdite e capitale non garantito”, aggiunge Pedone.

UN FILM GIA’ VISTO CON LE BANCHE NEL BOOM DI FINE ANNI ’90. All’epoca nelle filiali degli istituti di credito venivano stravenduti prodotti come i covered warrant senza però dire in maniera chiara al cliente che il rischio era la perdita totale del capitale o venivano piazzate matricole tecnologiche (chi non ricorda Tiscali e eBiscom e i loro stellari prezzi di Borsa?) che poi si sono dimostrate un flop. E del resto le stesse Poste “un pacco” ai risparmiatori lo hanno già dato come ricorda l’Aduc: “La società ha bruciato 400 milioni di 70mila investitori ignari su cosa avessero investito”. Era la linea polizze vita Index linked “Programma Dinamico” messa poi al bando dall’Isvap che segnalava la difficoltà nel comprendere i rischi reali connessi al tipo di strumento sottoscritto. Una vicenda inquietante che avrebbe potuto minare alle radici la sconfinata fiducia della clientela, vero grande asset del gruppo. Non a caso Maria Bianca Farina, ad che ha portato PosteVita a realizzare ben 530 milioni di utili nel 2012, intervenne subito proponendo una transazione ai risparmiatori che erano rimasti fra le maglie i questi prodotti. “E’ inaccettabile che, per quanto meno costosi rispetto ai prodotti bancari, le Poste piazzino fra i propri clienti questo tipo di prodotti”, tuona l’Aduc.

SULLO SFONDO I VECCHI LIBRETTI E I BUONI POSTALI DELLA CDP. Strumenti che magari non renderanno certo molto, ma che sono almeno “senza sorprese” per l’ignaro risparmiatore. “Invito tutti a stare in allerta perché le Poste non sono più quelle di una volta – conclude Pedone – la trasformazione delle Poste in un istituto di credito non ha portato nessun valore aggiunto alla tutela del risparmiatore italiano. Le Poste non hanno fatto altro che uniformarsi all’offerta di prodotti di investimento già esistenti sul mercato con il limite di avere un personale non qualificato e il vantaggio (per loro) di avere a portata di mano una clientela costituita da una nutrita schiera di pensionati che almeno una volta al mese passano dagli sportelli postali e possono essere oggetto di offerte commerciali. Il consiglio è sempre quello di investire solo in quei prodotti dei quali si ha una percezione chiara del funzionamento”.

Anche perché, a differenza di qualche anno fa, di soldi in giro ce ne sono pochi. E i risparmi fanno gola a tanti come testimonia la frase pronunciata nel 2011 dall’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, al G20 dove si chiedeva di inserire il debito di famiglie e imprese tra gli indicatori di stabilità: “Il nostro Paese ha un grande debito pubblico, ma anche un minimo debito privato ” spiegò il fiscalista di Sondrio. Poche, ma chiare parole che indirettamente indicano dove la politica, poco propensa ai tagli della spesa pubblica, può andare a pescare per drenare nuove risorse. Alitalia docet. Rete Telecom pure, visto che se i soldi per la compagnia di bandiera li sborserà la posta, quelli per il network in fibra invece finora li ha messi a disposizione solo la Cassa Depositi e Prestiti.

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