Cultura

Papa Francesco, “La Lista di Bergoglio”: così salvò chi fuggiva dalla dittatura

"Rovistando nel passato di Bergoglio, - racconta l'autore del libro, il giornalista Nello Scavo - sono a mano a mano emersi gli indizi che mi hanno condotto verso la 'lista'. Una ricerca che era aperta a ogni possibilità, sia in senso positivo che in chiave negativa: riabilitazione piena oppure condanna senza appello per l’allora superiore dei gesuiti in Argentina. Documenti e testimoni escludono qualsiasi collusione con il regime"

di Francesco Antonio Grana

“La lista di Bergoglio non è ancora chiusa”. A scriverlo è il giornalista di Avvenire Nello Scavo autore di un’avvincente inchiesta sulle persone salvate dal futuro Papa Francesco durante gli anni della dittatura militare in Argentina (1976-1983). Volti e storie che emergono dal lungo oblio nel quale erano piombate grazie al prezioso e scrupoloso lavoro di ricerca di Scavo contenuto nel suo libro “La lista di Bergoglio” pubblicato dalla Emi (www.emi.it) che ilfattoquotidiano.it ha letto alla vigilia dell’uscita in libreria.

Durante la dittatura militare, come scrive nella prefazione al volume il Premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel, “vi furono vescovi chiaramente complici che arrivarono a giustificare persino la tortura. Conosciamo i loro nomi e abbiamo contribuito a denunciarli”. Ma Bergoglio, all’epoca provinciale della Compagnia di Gesù, “contribuì ad aiutare i perseguitati e si operò in ogni modo affinché i sacerdoti del suo ordine che erano stati sequestrati fossero rilasciati. Tuttavia, – precisa Esquivel – come ho già avuto modo di sottolineare altrove, non partecipò, allora, alla lotta in difesa dei diritti umani contro la dittatura militare”.

Il Premio Nobel racconta anche che in un recente incontro che “ho avuto con Papa Francesco abbiamo discusso di diritti umani, ed è stato allora che ha pronunciato questa frase: ‘Bisogna continuare a lavorare per la verità, la giustizia e la riparazione del danno commesso dalle dittature’. Inoltre, – prosegue Esquivel – abbiamo parlato della speranza che la Chiesa possa un giorno riconoscere il martirologio latinoamericano, di religiosi e di laici che hanno sacrificato la vita in nome della loro fede e per i loro popoli. Abbiamo anche commentato il caso di monsignor Oscar Romero in El Salvador e di padre Carlos Murias in Argentina, di come ci siano dei processi di canonizzazione in corso e che possano presto giungere a una risoluzione”.

Nel suo libro Scavo focalizza anche le ombre che circondano la figura di Antonio José Plaza, all’epoca della dittatura arcivescovo di La Plata, accusato di essere un attivo collaboratore delle forze di repressione. I suoi detrattori gli imputarono di aver cooperato all’arresto di decine di persone, tra le quali un suo giovane nipote, José María Plaza. “Paolo VI – racconta Scavo – era molto preoccupato a causa delle informazioni che gli giungevano. Il 20 gennaio 1977, ricevendo in Vaticano monsignor Plaza, rivolse al presule una domanda che, da sola, esprimeva le ansie del Pontefice: ‘È vero che nel suo Paese stanno avendo luogo eccessi esecrabili contro persone che, pur non essendo terroristi, si oppongono al nuovo governo militare?’. Era evidente – prosegue il giornalista – che a Roma erano arrivati resoconti piuttosto precisi, mancava solo la controfirma dell’episcopato argentino. La replica di Plaza fu sdegnata: ‘No, niente di tutto questo, Santità! Si tratta di versioni false e infondate che mettono in circolazione quelli che sono scappati e si sono rifugiati in Europa’”.

Rovistando nel passato di Bergoglio, – racconta Scavo – sono a mano a mano emersi gli indizi che mi hanno condotto verso la ‘lista’. Una ricerca che era aperta a ogni possibilità, sia in senso positivo che in chiave negativa: riabilitazione piena oppure condanna senza appello per l’allora superiore dei gesuiti in Argentina. Non mi interessava fare dell’agiografia. Anzi, da cronista giudiziario, sapevo che trovare una prova incontrovertibile della connivenza di Bergoglio con i barbari che governarono l’Argentina dal 1976 al 1983 sarebbe stato un colpo sensazionale. Lo ammetto, – confessa il giornalista di Avvenire – scovare una notizia come quella non mi avrebbe dato gioia. La scoperta mi avrebbe provocato un’angoscia profonda, solo in parte ripagata dall’aver realizzato uno scoop internazionale. Ma una seria ricostruzione dei fatti non ammette preclusioni né pregiudizi. È così che invece ho trovato documenti e testimonianze che escludono qualsiasi collusione con il regime; anzi, evidenziano in maniera netta il suo aiuto ai perseguitati dalla giunta”. “In questo lavoro – ci tiene a precisare Scavo – non ho goduto di nessun apporto da parte vaticana. Nessun incontro, nessuna ‘dritta’, nulla”.

Nel suo libro il giornalista pubblica, inoltre, il documento interno redatto da Amnesty International su Bergoglio all’indomani della sua elezione al pontificato dove sul ruolo del nuovo Papa durante la dittatura si legge: “Nel caso di Bergoglio Amnesty International sa di un caso aperto nel 2005 riguardo alla scomparsa di due preti gesuiti, ma non ha alcuna documentazione per dimostrare o negare la partecipazione del nuovo Papa in questi eventi. Nessuna accusa formale è stata fatta contro Bergoglio e non abbiamo traccia nei nostri archivi di alcun coinvolgimento dell’ex arcivescovo di Buenos Aires in questo o in altri casi. Un’analisi caso per caso di ogni possibile collegamento del nuovo Papa con le violazioni dei diritti umani durante il regime militare argentino spetta eventualmente al sistema giudiziario argentino. Nessuno può essere al di sopra della legge quando si tratta di violazioni dei diritti umani. Nemmeno il Papa”.

Altro documento inedito molto importante che Scavo pubblica nel suo libro è il testo integrale dell’interrogatorio all’allora cardinale Bergoglio nel processo Esma, acronimo della scuola degli ufficiali della Marina militare argentina a Buenos Aires, luogo che durante il periodo della dittatura fu il centro di detenzione e di tortura più attivo del Paese.

Già dopo la fumata bianca il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, aveva bollato le accuse rivolte a Bergoglio come “calunnie e diffamazioni da elementi della sinistra anticlericale per attaccare la Chiesa”. Il riferimento era a quanto scritto in diversi suoi libri da Horacio Verbitsky, principale accusatore del futuro Papa. Per lo scrittore argentino, infatti, Bergoglio “è stato collaborazionista della dittatura argentina dei generali”. Padre Lombardi aveva replicato con fermezza che “non vi è mai stata un’accusa concreta credibile nei confronti del futuro Papa. La giustizia argentina lo ha interrogato una volta come persona informata sui fatti, ma non gli ha mai imputato nulla. Egli ha negato in modo documentato le accuse. Vi sono invece – proseguiva il portavoce vaticano – moltissime dichiarazioni che dimostrano quanto Bergoglio fece per proteggere molte persone nel tempo della dittatura militare. È noto il ruolo di Bergoglio, una volta diventato vescovo, nel promuovere la richiesta di perdono della Chiesa in Argentina per non aver fatto abbastanza nel tempo della dittatura”.

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