Non voterò mai Matteo Renzi. E non perché sia “antipatico”, anzi non lo è affatto. Gli do atto di avere messo al centro dell’agenda politica il tema della “rottamazione”, più esattamente del ricambio generazionale.

Sono però molto lontano da lui, sia per il mondo che rappresenta (lo yuppismo, la frivolezza furbina, il piacionismo bipartisan, la ribellione annacquata) e sia per le sue idee politiche sostanzialmente di destra, anzitutto a livello economico (infatti amava Fornero e Marchionne).
In un paese normale, Renzi sarebbe l’erede naturale (e assai più accettabile) di Berlusconi. In un paese schizofrenico, viene spacciato per leader di centrosinistra. Follia.

Questo però non autorizza il sinedrio Pd a preparare un nuovo congresso autunnale blindato, con votazioni per la segreteria aperte soltanto agli iscritti, nel tentativo patetico di far passare il vecchio che indietreggia (Cuperlo) con la scusa de “il segretario non deve fare il Premier”: lo stesso giochino che disarcionò Prodi, grazie alla spinta di Veltroni.

Renzi fa parte del Pd (anche se non c’entra niente con la sinistra, o forse proprio per questo); è uno dei pochi leader spendibili; è un sindaco con pregi e difetti (c’è tanto di peggio) e le votazioni devono essere aperte. Non certo blindate.

La lotta per la segreteria Pd è fuffa. Solo fuffa. Non esiste alcuna suspense. Nessuna. Lo scenario è chiarissimo. Se il Pd vuole vincere, e per me non vuole, l’unico nome è Renzi: sia come segretario, sia come Premier. Avere accanto un Cuperlo segretario, o addirittura un Letta (che qualche gerarca pensa di riproporre come candidato Premier alle prossime elezioni: geni), lo indebolirebbe. Proprio come accaduto a Prodi. Se il Pd vuole incancrenirsi definitivamente, deve affidarsi a Cuperlo, il cui carisma è paragonabile a quello di Andreas Seppi nella parte di John J. Rambo. Se il Pd vuole farsi le pippe e sentirsi figo, deve votare Civati, che avrebbe le idee migliori ma non ha alcuna chance di vittoria, è pressoché sprovvisto di coraggio politico ed è atavicamente incollato al suo ruolo di quasi-ribelle tentennante, genere “vorrei-ma-non-posso gne gne quanto è cattivo il mondo”.

L’ostracismo del sinedrio Pd contro Renzi è risibile, squallido, masochistico e ferocemente antidemocratico. Ma è anche – va dato atto al politburo – sensato. Pura forma di sopravvivenza. Se Renzi vincesse, azzererebbe buona parte della classe dirigente, e già solo questo – come appuntò provocatoriamente Flores D’Arcais prima delle Primarie – rende la sua presenza in qualche modo benefica. Una vittoria renziana, peraltro, porrebbe definitivamente fine al bluff Pd “partito di sinistra” e costringerebbe i malpancisti piddini a varare altrove il famoso “cantiere della sinistra”.

Più il sinedrio attacca Renzi, più lo fortifica agli occhi del suo pubblico, permettendogli di recuperare il consenso perduto in questi mesi. Al tempo stesso, Renzi non è più quello di fine 2012. Non ha più quella forza. Da mesi se ne sta lì ad attendere, cincischiare, vivacchiare. E’ ancora il più spendibile, ma ha perso l’attimo.

Se accelerasse le decisioni, a costo di strappare con il partito, potrebbe pesare una volta per tutte la sua forza elettorale individuale. Cosa che in cuor suo teme. Ma potrebbe anche depotenziare definitivamente il Pd, che orfano di Renzi avrebbe giusto la possibilità di seguire la sua unica vocazione: perdere.

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