La Fieg – la Federazione italiana editori di giornali – nell’ultimo anno ha deciso di dichiarare guerra a chiunque utilizzi online i contenuti degli editori ad essa aderenti senza autorizzazione e, soprattutto, senza aver pagato il prezzo.

Nell’occhio del ciclone, nei mesi scorsi, sono finite per prime le rassegne stampa online realizzate, nella più parte dei casi, da agenzie specializzate e pubblicate quotidianamente da enti pubblici e privati.

Una dietro all’altra, sotto le diffide della Fieg, sono state “spente”, tra le tante, la rassegna stampa online del Senato della Repubblica e quella della Camera dei Deputati.

L’Autorità Garante per le comunicazioni è stata, addirittura, costretta ad annullare una gara per l’affidamento dell’appalto per la fornitura del servizio di rassegna stampa perché nei documenti di gara non era sufficientemente chiarito che l’aggiudicatario avrebbe dovuto disporre di tutti i diritti d’autore a ciò necessari.

Per la gestione dell’attività di intermediazione dei propri diritti la Fieg ha creato un’apposita società di servizi – la Promopress 2000 s.r.l. – alla quale ha affidato un repertorio nel quale, ad oggi, compaiono 330 testate.

Promopress, secondo quanto si legge sul sito internet, ha già concluso alcuni contratti di licenza con le agenzie che producono rassegne stampa e pare ora intenzionata a fare altrettanto con ogni altra categoria di utilizzatori.

Sarebbero, infatti, “in costruzione” le licenze per l’utilizzo online dei contenuti pubblicati sui giornali italiani da parte di pubbliche amministrazioni, università, biblioteche e centri di ricerca, associazioni ed organismi di rappresentanza, enti non profit e utenti business.

Il contenuto di queste licenze è, almeno per il momento, segreto quanto la formula della coca cola.

Il testo della licenza per le agenzie di rassegne stampa – l’unico già messo a punto – è, probabilmente, noto alle sole agenzie che hanno perfezionato il contratto mentre gli altri risultano ancora da mettere a punto.

Cosa c’è di tanto segreto nel prezzo e nelle condizioni di utilizzazione dei contenuti degli editori?

Un “cartello” da parte di tutti i principali editori italiani per la commercializzazione – alle stesse identiche condizioni – dei contenuti, ad oggi, di 330 testate è un fatto davanti al quale l’Autorità Antitrust non può girarsi dall’altro e far finta di niente.

Occorre almeno porsi il problema – che potrà poi essere risolto con un via libera condizionato o incondizionato – dell’impatto che un cartello come questo sul prezzo dell’informazione potrà produrre sul mercato di riferimento e, più in generale, sulla circolazione delle informazioni.

Tutto questo, peraltro, senza dimenticarsi che buona parte dell’informazione della quale si parla è prodotta grazie a contributi pubblici all’editoria di decine di milioni di euro e che i diritti di proprietà intellettuale che si stanno commercializzando devono, in talune ipotesi – che non può essere lasciato ai privati identificare – cedere il passo al diritto di cronaca ed alle altre libere utilizzazioni previste nella legge sul diritto d’autore.

Davanti ad una situazione tanto complessa e delicata non può che destare ulteriore preoccupazione la circostanza che la Siae – la quasi monopolista italiana dell’intermediazione dei diritti d’autore – abbia deciso di candidarsi con forza e determinazione a gestire anche i diritti d’autore degli editori di giornali.

E’ uno scenario decisamente allarmante.

Un monopolista che anziché fare un passo indietro come richiedono i tempi ed i mercati, vorrebbe farne uno in avanti espandendo la propria esclusiva anche in un un mercato “sensibile” come quello dell’informazione.

Senza contare, peraltro, che è difficile capire per quali ragioni la Promepress – una società nata con il solo obiettivo di intermediare i diritti d’autore degli editori – dovrebbe affidarsi ad un’altra società di intermediazione che, come se non bastasse, ha il suo tallone d’achille proprio nell’inefficienza e nel sovradimensionamento dei costi di gestione e non ha alcuna eccellenza nel mondo dell’online.

Sulla questione occorre procedere con estrema cautela e governo e autorità di regolamentazione non possono e non devono girarsi dall’altro lato.

Niente di strano, naturalmente, che gli editori, titolari dei diritti d’autore su taluni contenuti, desiderino monetizzarli pretendendo che chi li usa, paghi un prezzo.

Il punto è, però, che la “merce” in questione si chiama informazione e che si tratta di una “merce” straordinariamente più preziosa rispetto alla musica, ai film, ai dipinti o alle fotografie.

La circolazione dell’informazione, prima che ricchezza produce e deve produrre democrazia.

Tanto, naturalmente, non basta per esigere che gli editori rinuncino al loro legittimo profitto che, peraltro, serve a produrre nuova informazione, auspicabilmente, di qualità e, quindi, democraticamente preziosa.

Guai, però, a dimenticare che il “mercato dell’informazione” non è e non può essere un mercato come tutti gli altri abbandonato, solo, al libero confronto tra interessi privati perché non è solo una questione di soldi e di ricchezza prodotta o utilizzata.

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