Sono in Turchia e già stasera torneranno in Italia i quattro giornalisti trattenuti da giovedì 4 aprile da un gruppo armato islamista delle forze anti-governative, in Siria. Amedeo Ricucci, inviato Rai, e i free lance Elio Colavolpe, Andrea Vignali e Susan Dabbous, collaboratrice – tra le altre testate – dell’associazione indipendente di giornalisti Lettera22 e de Il Fatto quotidiano.it, stanno bene e sono stati trattati bene. Così ha detto Ricucci a RaiNews24. Nella sua testimonianza, una parte delle chiavi per capire quello che è successo in questi giorni. Fatti su cui peraltro indaga la procura di Roma. Ricucci ha detto che il gruppo armato che li ha trattenuti è un gruppo islamista “che non fa parte dell’Esercito libero” e che voleva controllare il materiale girato dai giornalisti durante il loro viaggio nel nord della Siria.

Questo controllo, secondo quanto ha detto l’inviato Rai, è durato “moltissimo tempo”, anche perché parallelamente, i guerriglieri si stavano accertando dell’identità dei quattro reporter. La zona in cui si trovavano, infatti, non è solo una di quelle in cui più forte è la presenza degli armati di Jabhat Al Nusra – la principale tra le formazioni islamiste della galassia delle forze dell’opposizione armata al regime di Bashar al-Assad. Secondo una delle nostre fonti, vicina al Free Syrian Army, è anche una zona dove avvengono passaggi di armi e anche di prigionieri, tra le formazioni anti-governative e l’esercito regolare. Non solo: l’ingresso dei quattro giornalisti in Siria sarebbe avvenuto senza “contattare” né l’Fsa che controlla buona parte della frontiera con la Turchia e varie zone nel nord, né il governo di Damasco. Proprio aver scelto questo canale “terzo”, avrebbe creato problemi con i guerriglieri, perché in qualche modo sospettato di essere collegato con l’omicidio di un alto ufficiale delle forze anti-governative, avvenuto tre settimane fa. Questa circostanza, secondo la ricostruzione offerta dalla nostra fonte e che dovrà essere verificata nelle prossime ore grazie alla testimonianza diretta dei giornalisti liberati, avrebbe “complicato le trattative per la liberazione”. Che, comunque, non è mai stata a rischio.

Nonostante il fatto che proprio in questi giorni Jabhat al Nusra abbia annunciato la “fusione” con quel che rimane di Al Qaeda in Iraq, tutte le fonti, italiane e siriane, istituzionali e non, concordavano nel mantenere un cauto ottimismo per la conclusione della vicenda. E tutte continuano a non parlare di “sequestro” ma di “fermo”. Un fermo che però si è prolungato oltre quello che ci si sarebbe aspettato. Nelle prime ore tra giovedì e venerdì, quando ormai era chiaro che i quattro giornalisti non sarebbero stati rilasciati immediatamente, si sono attivati diversi canali di “contatto” con il gruppo che li aveva fermati. Anzi, forse troppi canali, secondo la nostra fonte: al punto che i guerriglieri, hanno sospettato che, oltre al lavoro giornalistico, ci fosse dell’altro nell’agenda dei quattro reporter. Gli “accertamenti” quindi sono diventati più scrupolosi e minuziosi, senza che tuttavia si arrivasse mai a temere seriamente per la loro incolumità. Il silenzio stampa chiesto dalla Rai e osservato con attenzione da tutti i media coinvolti è stato essenziale quanto le comunicazioni dirette e indirette con i guerriglieri che li avevano fermati. Di più: il silenzio era stato “consigliato” fin dalle prime fasi del fermo, giovedì notte, prima che la notizia diventasse del tutto pubblica. Ulteriori dettagli e conferme rispetto a quello che è stato possibile ricostruire finora arriveranno nelle prossime ore, quando Amedeo, Elio, Andrea e Susan saranno di nuovo in Italia.

di Enzo Mangini

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