Traffico illegale di diamanti grezzi dalla Guinea messo in piedi da un noto orafo di Milano e i suoi rapporti burrascosi con uomini della ‘ndrangheta alle dipendenze del superboss Pepè Onorato. Storie che scorrono inedite tra le pieghe della cronaca e che vengono a galla calpestando i marciapiedi del centro, in quel quadrilatero di strade tra via Verdi piazza della Scala e via dell’Orso, il lato più esterno del quartiere di Brera. Qui giovedì mattina (tra le 10 e le 11) è stato ucciso Giovanni Veronesi (che nulla c’entra con l’importazione di preziosi), gioielliere di 74 anni. Rapina, sostengono i carabinieri. Oltre non vanno. “Rapina finita male”, azzarda qualcuno. L’uomo è stato ucciso con diversi colpi in testa. L’arma? Non si trova. E forse anche perché l’oggetto usato per uccidere potrebbe coincidere con parte della refurtiva. Una statuetta? Probabile. Ma si pensa anche alla mazzetta utilizzata per spaccare la vetrina interna della gioielleria. Solo ipotesi, vaghe come il quadro investigativo affidato al pubblico ministero Giancarla Serafini. Nella serata di ieri i carabinieri puntavano molto sulle riprese delle telecamere esterne. Speranze subito sfumate. Delle cinque o sei presenti in quel punto alcune sono orientate in modo sbagliato, altre non funzionano o non registrano.

E così se del killer-rapinatore ad oggi non si hanno tracce, conviene ricostruire il possibile tragitto della refurtiva. A Milano esiste un luogo dove finisce buona parte dell’oro rubato nel nord Italia. Si tratta del quartiere satellite di Pioltello. Un triangolo di case popolari tra via Cimarosa, via Cilea e via Leoncavallo. Cemento armato a nord di Milano. Con vista su un grande parcheggio. Affaccio strategico per controllare sbirri o indesiderati. Qui ci arriva la squadra Mobile di Milano che sta indagando su un gruppo di rapinatori di origine sudamericane. Nulla a che vedere con l’inchiesta sull’omicidio. Eppure un punto di contatto c’è: l’oro rubato tra Milano e il nord Italia, da Pavia fino a Valenza Po’.

L’indagine parte dal furto di gioielli subito dalla Buccellati holding spa il 13 maggio 2012. Un bottino da due milioni di dollari. Scrive il gip. “E’ necessario partire da questo episodio per ripercorrere il filo di Arianna delle investigazioni”. Si riparte così dalla testimonianza di Rosa Maria Bresciani della società Buccellati e da quel furto singolare dopo un finto tamponamento vicino a via Durini. Si arriva a individuare una donna dell’Ecuador. Arrestata e poi rilasciata perché la signora riconosciuta in via Durini non coincide con la descrizione della ragazza fermata. Di più: la giovane sudamericana all’ora del furto era a una festa in un oratorio a 15 chilometri da via Durini.

Alla polizia tocca ricominciare. Gli autori di quel furto milionario ripiombano nell’ombra. Una certezza però resta: il quartiere satellite di Pioltello abitato da centinaia di sudamericani. Una delle mete preferite dai più noti ricettatori di Milano. Le voci di strada corrono veloci: qui ci si viene per ritirare l’oro. I fratelli Pascucci, ad esempio, origini pugliesi, vengono fermati in piazza Angilberto (quartiere Corvetto) con due chili d’oro nascosti in un sacchetto. Pochi minuti prima, i poliziotti li avevano visti uscire dai palazzoni di via Cimarosa. Claudio Pascucci, soprannominato il Gatto, è in contatto con un messicano chiamato Flaudel. Dice il ricettatore: “Io sto arrivando a Pioltello…”. L’altro: “Non possiamo vederci a Cimarosa, vicino al parking…”. E il 13 giugno 2012. Un giorno prima la batteria dei sudamericani (dieci persone a bordo di tre auto) ha rapinato la gioielleria Tempesta di Pavia. Nel tardo pomeriggio del 13, i fratelli Pascucci vengono fermati in via Ravenna a Milano. Dalle tasche di Claudio Pascucci saltano fuori oltre 8mila euro in contanti. Mentre dal cassetto portaoggetti la polizia ne trova altri 20mila. Quindi salta fuori l’oro, circa due chili, e tre orologi di marche prestigiose. Durante la successiva perquisizione in un box di Vizzolo Predabissi, dove i due risiedono, la polizia trova reperti archeologici antichissimi, alcuni risalenti al 500 a.C. Tra questi alcuni vasetti dell’epoca greca. Se c’è da cercare la refurtiva di via dell’Orso, le strade di Pioltello potrebbero riservare sorprese.

Dell’omicidio Veronesi c’è ancora molto da raccontare. Ad esempio la zona: ricca, frequentata, centralissima. Zona perbene. Sulla carta e forse solo apparentemente, come dimostra la storia di un altro gioielliere che per un traffico di diamanti grezzi progettato assieme a una senegalese di nome Malik si è portato in casa i luogotenenti della ‘ndrangheta. Tutto avviene tra il 2005 e il 2006. Il gioielliere e il senegalese progettano un viaggio in Guinea per acquistare un diamante. Acquisto che va in porto. Quello che manca è la parte per Malik che così si rivolge agli uomini di Pepè Onorato. L’orafo, originario della Francia, ma con residenza brianzola, fa denuncia. Racconta delle minacce subite. Il senegalese finirà arrestato. Non gli uomini del boss.

La storia dell’estorsione, però, in aula cambia parzialmente. A raccontarla è il giudice Gemma Gualdi che riferisce delle reticenze del gioielliere (che non finirà comunque indagato) e soprattutto delle sue ammissioni. Confesserà di aver portato il diamante in Italia in modo illegale. Udienza dopo udienza il quadro si chiarisce. Da un lato appare certa l’estorisione della ‘ndrangheta dove il commerciante è vittima. Dall’altro però salta fuori addirittura una società inglese creata dallo steso professionista per importare diamanti in Italia. Da qui l’alta percentuale (circa il 20%) da girare al senegalese Malik. Insomma, qui tra via dell’Orso e via Verdi, a cento metri dal palazzo del Comune di Milano non tutto è come appare.

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