C’era da scommettere che Kim Dotcom ed il resto della gang non avrebbero gettato la spugna e non si sarebbero rassegnati ad una vita nell’anonimato e lontano da Internet dopo che, giusto un anno fa, il governo statunitense, rispondendo alle sollecitazioni dell’industria di Hollywood, gli aveva dichiarato guerra, credendo, peraltro, forse, a tratti, addirittura di averla vinta.

Dodici mesi dopo, eccolo il mastodontico profilo di Kim Dotcom e quelli dei suoi tre compagni di avventura, campeggiare sulla pagina di Mega e spiegare chi è davvero o, almeno, chi, oggi, vuol far credere di essere la gang più famosa della Rete: “Siamo un gruppo di tecnici che hanno avuto il tempo e la possibilità di costruire un impressionante servizio di cloud storage che aiuterà a proteggere la vostra privacy.”.

Mega ha la faccia di un servizio di hosting di contenuti che ha particolarmente a cuore la privacy dei propri utenti ed i suoi ideatori sembrano intenzionati a conquistare il mercato e sbaragliare la concorrenza proprio garantendo agli utenti – grazie ad un potente sistema di crittografia – tanta privacy quanta non ne hanno mai avuta.

Difficile, a scorrere le condizioni generali di servizio, dubitare della legalità della nuova Mega-iniziativa di Kim Dotcom e dei suoi ma, naturalmente, tanto non basta a dirsi convinti che l’obiettivo della gang sia tutto qui. Le condizioni generali sono state scritte da un team di avvocati ben consapevoli che l’intero dipartimento della giustizia americana e i colleghi delle più grandi e potenti major dell’audiovisivo le avrebbero passate al setaccio a caccia di ogni più piccolo elemento utile a far scattare, di nuovo, le manette per Kim ed i suoi ed il blocco dei servizi.

Questa volta – ben più di prima – la mega-gang prende le distanze dai contenuti caricati online dagli utenti, li affida nella loro esclusiva disponibilità e garantisce loro, attraverso un’apposita chiave crittografica che solo loro potranno decidere se e con chi condividerli. Ma non basta, Kim Dotcom ed i suoi si mostrano disponibili – anche se non si impegnano – a rimuovere, a seguito di segnalazioni documentate e circoscritte dei titolari, ogni contenuto che si ritenesse utilizzato in violazione del copyright, riconoscendo, naturalmente, ai propri utenti la possibilità di difendersi da ogni accusa di essere pirati.

E allora dov’è il trucco?

Kim Dotcom ed il resto della mega-gang hanno davvero messo la testa a posto e deciso di passare dalla parte dei buoni o hanno, invece, sete di vendetta ed una gran voglia di dimostrare al governo stelle e strisce ed alle major di Hollywood che chiudendo Megaupload e perseguendoli hanno vinto solo una battaglia ma che la guerra non è ancora finita?

La seconda ipotesi sembra quella giusta e la sensazione è che Kim Dotcom ed i suoi possano contare anche sull’appoggio del governo neo-zelandese. La Neo Zelanda è, infatti, la “casa” di Mega ed il Paese nel quale Mega è stato inventato e realizzato. Tante e bene in vista, sulla piattaforma, le tracce di queste radici.

A cominciare dall’indicazione “realizzato in Nuova Zelanda” con tanto di profilo del Paese che campeggia in basso a sinistra su tutte le pagine del sito e a proseguire con quell’orgoglioso riferimento – quasi una rivendicazione – contenuto nella pagina “Chi siamo”: “Abbiamo programmato questo servizio Internet da zero ad Auckland, in Nuova Zelanda”.

E’ la privacy e la segretezza delle comunicazioni interpersonali, probabilmente, l’asso nella larga manica di Kim Dotcom.

Gli utenti di Mega caricheranno online contenuti crittografati e li condivideranno in maniera protetta con la cerchia di persone – non ha importanza quanto ampia – con la quale sceglieranno di condividerli. Chiunque voglia verificare se e quali contenuti vengano condivisi sulla nuova Mega piattaforma, dovrà, dunque accedere a comunicazioni riservate e crittografate, rischiando di violare, ogni volta, la privacy degli utenti.

E’ una guerra ideologica e di principio quella che Kim Dotcom pare intenzionato a scatenare e della quale, probabilmente, vuole farsi scudo: il dipartimento della giustizia degli Stati Uniti d’America è pronto a stabilire il principio che la difesa del copyright giustifica la violazione della privacy dei propri cittadini e di quelli del resto del mondo?

E’ questa la sfida globale che Kim Dotcom sta lanciando. La conferma arriva dalla citazione che campeggia sulla pagina del profilo dell’azienda: “Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, famiglia, casa o nella sua corrispondenza. Ogni individuo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze. (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Articolo 12)”.

Inutile negare che la partita sarà straordinariamente difficile.

Non c’è Stato democratico e di diritto che, nel secolo della Rete, possa assumersi, a cuor leggero, la decisione di dichiarare che la tutela di diritti patrimoniali d’autore consente di travolgere uno dei diritti fondamentali dell’uomo, privandolo della segretezza della propria corrispondenza.

La guerra – quella vera – è appena iniziata e, questa volta, in gioco non ci sono “solo” milioni di dollari ma anche e, soprattutto, i nostri diritti. Guai a pensare di avere in tasca la soluzione al problema e di sapere, davvero, cosa è giusto e cosa è sbagliato.

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