Gli zapatisti del Chapas hanno un problema. Quando arrivano in visita attivisti dal nord America e dall’Europa non riescono a spiegare loro l’essenza del pensiero dei Maya rivoluzionari.
Dicono che siamo troppo individualisti per capire come la pensano.

Enrico e Finaz, della Bandabardò, mi hanno raccontato di aver seguito un corso per stranieri nel quale i militanti zapatisti cercavano di far capire come loro sentono il concetto di collettività. Per riuscirci propongono ai visitatori strani esperimenti.

Uno di questi funziona così: un grande gruppo di persone viene suddiviso in gruppi affini: studenti, professori, contadini, operai, prostitute. Poi però alcuni a caso finiscono in gruppi che non corrispondono alla loro attività.
Così un professore di New York finisce in mezzo al collettivo delle prostitute messicane.
I componenti di ogni gruppo raccontano la loro storia. Le prostitute narrano il dramma della vendita del loro corpo, le violenze dei papponi e della polizia, i pericoli della strada. E quando tocca al professore di New York non deve parlare come professore, deve far finta di essere una prostituta, immaginare di esserlo e raccontare come si sentirebbe se il suo abituale mestiere fosse offrirsi lungo le strade o nei bordelli. L’idea è che immedesimandosi in una prostituta lui possa vedere la questione da un altro punto di vista e offrire idee positive al gruppo. Non in quanto professore che consiglia le prostitute ma in quanto prostituta con l’esperienza di un professore (leggi qui il racconto dei Bandabardò).

Lo so che è un’idea bislacca, ma sono giorni che ci penso, e più ci penso meno mi sembra bislacca.
C’è qualche cosa di geniale dentro.
Ma soprattutto mi interessa l’esigenza che ci sta dietro.
Al di là della sensatezza di questo esperimento trovo interessante il fatto che questi indios abbiano sentito il bisogno di inventarsi un esperimento da gruppo psicanalitico sperimentale per indurre i bianchi a guardare gli altri da un diverso punto di vista.

È quantomeno un segnale che indica che a loro parere siamo sprovvisti di una sufficiente capacità empatica; non sappiamo immedesimarci negli altri. Viviamo chiusi all’interno dell’orizzonte della nostra individualità, non sentiamo abbastanza il nostro essere parte di una comunità. Anche se siamo progressisti etici e solidali, secondo loro non siamo veramente convinti che solo se la collettività ha un vantaggio si ottiene un miglioramento personale. Loro dicono: niente per me tutto per noi. Lo scrivono in modo ossessivo su tutti i muri dei loro villaggi.

Questa storia mi porta subito alla memoria una strana terapia familiare che ha avuto grande successo in Olanda. Questa terapia si rivolge a famiglie completamente disastrate.
Invece dei soliti dialoghi individuali o di gruppo, il terapista chiede alla famiglia di trovare 20 persone che siano disposte a partecipare alla terapia: il vicino di casa, l’edicolante, il vigile… Chiunque. Se una famiglia non è in grado di trovare 20 persone non si procede. Se ci riesce si fa un’assemblea nella quale i membri della famiglia in difficoltà raccontano i loro problemi, la loro storia e il gruppo di conoscenti partecipa offrendo opinioni e consigli. La cosa straordinaria che succede è che le persone della famiglia raccontano cose che in una terapia individuale non direbbero mai. E le persone invitate poi si fanno spesso carico di continuare a seguire, giorno per giorno, la famiglia in difficoltà, creando una rete sociale di solidarietà, incoraggiamento, sostegno.

Questa storia me l’ha raccontata uno psicologo che ha trascorso alcuni giorni ad Alcatraz, un uomo con decenni di esperienza terapeutica che mi ha detto che non aveva mai visto una tale esplosione di voglia di raccontare, una fame enorme di relazioni umane.

E mi spiegava che una famiglia che vive drammi allucinanti ha sempre la caratteristica di essere un nucleo umano che soffre di carenza di relazioni sociali. 
Queste due storie mi fanno poi venire in mente le scoperte del professor Nittamo Montecucco, che negli anni ’90 inizia a registrare le onde cerebrali di persone che stanno facendo insieme qualche cosa. Dal canto alla meditazione, allo sport. Egli ha scoperto che dopo circa 31 minuti le onde cerebrali si sintonizzano mostrando diagrammi sovrapponibili.Questa reazione fisiologica ne induce ovviamente altre. Una sensazione fisica di benessere e sicurezza (il gruppo offre protezione) il che ovviamente provoca secrezioni di dopamina e un aumento dell’efficienza del sistema immunitario, come tutte le attività che danno piacere fisico o psicologico.

Ma la reazione fisiologica innescata dalla sintonizzazione delle onde cerebrali è particolarmente intensa.
Chi ha fatto una partita di calcio sperimentando l’armonia tra i giocatori (il momento magico, l’essere in palla) sa cosa voglio dire.
Lo spazio per questo articolo è finito, continuo nel prossimo.

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