L’Alieno bussa sempre almeno due volte. Dove il potere si riunisce e basta un graffio sul muro, un disegno irridente o una domanda per denudarne le intenzioni. Quattro amici in boxer per un Paese in mutande. Matteo, cuoco e rapper. Paola, performer milanese. Marta, studentessa iscritta a Farmacia. Un artista di strada di Ferrara, Andrea Amaducci. Si sono incontrati, riconosciuti nella foschia dei tempi, hanno deciso di protestare spogliandosi, esponendo cartelli a sfondo sociale e aprendo un gruppo Facebook in ascesa (“Il sogno dell’Alieno”). Messaggi in vista, corpi senza protezione, provocazioni sensate, Digos sempre alle tacche e crisi di nervi dietro l’angolo. Al meeting ciellino di Rimini, a Cernobbio di fronte a economisti e parolai, al Festival di Venezia e a Modena, nella democratica culla emiliana del Pd (oratore Bersani) dove sorpresa e irritazione del servizio d’ordine hanno provocato il corto circuito della censura.

ERAVAMO arrivati sotto il palco dove il segretario avrebbe iniziato a parlare della ricostruzione” dice Andrea “con i cartelli nascosti e un mio disegno su tela di 4 metri”. Sopra la raffigurazione di un Paese emiliano distrutto dal sisma, una scritta: “Sul terremoto dell’Emilia, dai media solo propaganda”. Su una seconda “tavola”, il messaggio al leader del Pd: “Bersani, il terremoto è come la vita, i ricchi ce la fanno, i poveri si devono arrangiare”. I gendarmi con i pennacchi e con le armi, i funzionari della Digos, si sono manifesta-ti. Fermi, documenti, attesa e poi l’ok. Davanti al via libera di Stato: “ci seguono ovunque, ma sono corretti e hanno capito perfettamente che abbiamo intenzioni pacifiche” è intervenuta la real politik. Il responsabile della Festa ha detto no. “Ci ha fermati sostenendo che non potevamo fare alcuna performance perché era inopportuno che la stampa ci vedesse protestare”.

Secondo Andrea, l’arroganza (forma e sostanza non di rado coincidono) si è abbracciata a una irricevibile proposta alternativa. Spostarsi a distanza di sicurezza dalle luci del palco, in un angolo buio, per abbaiare senza disturbare. I cani da guardia di un basilare princìpio di civiltà informativa, hanno girato le zampe, biasimato il bavaglio e cercato un’altra cuccia. Si mettono in mutande per simbolismo: “È come dire che si può essere più leggeri e riprendere a volare a patto di spogliarsi del superfluo e non temere di perdere ciò che non abbiamo più” e agiscono: “perché se noi ragazzi non ci diamo una mossa dimostrando di avere a cuore il nostro futuro” dice Andrea “non solo non cambierà niente, ma di certo peggiorerà tutto”.

SOGNANDO meeting e piazze politiche ed economiche lontane dal segreto: “Non sarebbe magnifico se l’assise di Cernobbio si tenesse davanti a 100mila persone messe in condizioni di porre dubbi ai manovratori?”, ragionando sull’immutabilità del potere: “A chi regge il gioco non interessa il lamento popolare” e macinando chilometri, l’alieno tenta un’invasione pacifica. Un bravo regista di documentari premiati ovunque, Alberto D’Onofrio, sta seguendo gli invasori da un mese. Un film su una rivolta silenziosa, sul sogno da contrapporre agli incubi, sulla base che si fa mattone di un palazzo dalle fondamenta fragili. Partecipare è già democrazia. Nel partito figlio dell’idea collettivista hanno faticato a capirlo. A Modena, davanti al segretario che fuma il sigaro e si fa proteggere dall’apparato, a perdere sono state diversità e curiosità. Bersani dovrebbe saperlo. Per evitare di sembrare la parodia di uno dei protagonisti della canzone di Venditti ambientata in zona. Inconsapevole. Monolitico. “Con i nostri sorrisi tristi a parlarci ancora di noi”.

da Il Fatto Quotidiano del 21 settembre 2012 

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