Un’altra bacchettata per il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, dopo quella subita dai vertici dell’Associazione nazionale magistrati. Questa volta, però, l’essere additato come magistrato che tradisce il suo ruolo potrebbe fargli più male, quantomeno sul piano umano. La presa di distanza viene dall’interno, da Magistratura democratica, la corrente di sinistra di cui è sempre stato un esponente di punta e di cui fanno parte anche altri due pm dell’indagine trattativa Stato-mafia: Lia Sava e Francesco Del Bene. Secondo quanto risulta al Fatto, Sava si è dimessa da segretaria della sezione palermitana di Md.

E oggi la Quarta commissione del Csm potrebbe proporre, di fatto, al Plenum di arrestare la carriera di Ingroia almeno per due anni se deciderà di inserire nel fascicolo di valutazione (che ha ogni magistrato) una nota negativa per aver detto “sono un partigiano della Costituzione” al congresso del Pdci della primavera scorsa. Quanto a Md, senza mai nominarlo, lo accusa di essersi lasciato andare a una “esasperata sovraesposizione mediatica” e di aver cercato in questo modo “consenso” attorno all’inchiesta sulla trattativa. Alla riunione di venerdì scorso dell’esecutivo, nonostante ne faccia parte, non ha partecipare Lia Sava. Dopo l’autosospensione da segretario nazionale di Piergiorgio Morosini, motivato con l’impegno per affrontare da gup l’udienza preliminare proprio sulla trattativa, è stato deciso che per una presa di posizione su quell’inchiesta, non era opportuna la presenza del pm .

Il documento si allinea esplicitamente con i vertici dell’Anm che hanno accusato Ingroia di aver rilasciato dichiarazioni “politiche” alla festa del Fatto e gli hanno rimproverato, così come al pm Nino Di Matteo, di non aver preso le distanze dall’intervento critico di Marco Travaglio sul presidente Giorgio Napolitano. “Md, da sempre, ritiene che l’intervento pubblico del magistrato debba non sovrapporsi al proprio lavoro giudiziario, investire questioni generali ed essere caratterizzato da chiarezza, equilibrio e misura, cioè debba essere svolto in modo da non arrecare pregiudizio al lavoro giudiziario e alla immagine della giurisdizione. E ciò vale, in misura ancor maggiore, per i magistrati che conducono indagini particolarmente rilevanti e delicate sulle quali si concentra l’attenzione pubblica con rischi evidenti di strumentalizzazione, pensiero del resto condiviso in un recente intervento dalla stessa Anm”.

Il prologo del documento ribadisce che “la necessità di un confronto continuo tra la giurisdizione e la società civile è convinzione fondante della identità del nostro gruppo…”. Ma, secondo i vertici di Md, Ingroia ha usato la sua professionalità per farsi pubblicità: “E’ evidente l’inopportunità della ricerca esasperata di esposizione mediatica, anche attraverso la sistematica partecipazione al dibattito, da parte di magistrati che approfittano dell’autorevolezza e delle competenze loro derivanti dallo svolgimento della attività giudiziaria e utilizzano nel confronto politico le conoscenze acquisite e le convinzioni maturate nel contesto di un’indagine”.

Il comunicato prosegue con un altro siluro, forse il più pesante: le uscite pubbliche di Ingroia possono aver creato (o cercato) rispetto all’inchiesta sulla trattativa, una verità a tavolino: “Un esito pericoloso di questa distorsione è la possibile creazione, in luogo diverso dall’ambito processuale, di ‘verità’ preconfezionate che rischiano di influenzare o comunque di far ‘apparire’ parziali l’operato della magistratura e le decisioni giudiziarie”. In conclusione, l’intimazione ai magistrati della procura di Palermo a stare zitti: “E’ egualmente inaccettabile la sollecitazione e la ricerca da parte di magistrati del ‘consenso’ a indagini o all’esito di processi in corso, specialmente se si tratta dei magistrati direttamente investiti di quelle indagini e di quei processi o comunque appartenenti al medesimo ufficio”.

Alcuni magistrati palermitani, compreso il procuratore aggiunto, Vittorio Teresi (Md) segretario locale dell’Anm e i vertici della corrente si sono scambiati parole di fuoco sul documento. Un documento che non ha speso una parola, invece, sulle toghe che hanno criticato l’indagine sulla trattativa senza conoscere gli atti.

da Il Fatto Quotidiano del 20 settembre 2012

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