Grazie all’amicizia con Giulio Giuseppe Lampada, presunto riciclatore della ‘ndrangheta, il consigliere comunale del Pdl milanese Armando Vagliati è entrato in contatto con i piani alti della politica romana e, sempre in virtù di tali rapporti, progettava di ritagliarsi un posto di rilievo nella dirigenza della Fondazione Fiera, l’ente regionale che organizza congressi e meeting. In cambio cosa fa? “Mette in contatto Lampada con imprenditori del settore immobiliare interessati a concludere diversi affari”. E nonostante questo Armando Vagliati non è un corrotto. O meglio: per il reato di corruzione, accusa contestata dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) per i suoi rapporti con presunti appartenenti alla ‘ndrangheta lombarda, “non c’è margine”. E del resto “le consulenze del pm non hanno portato a nulla. Avrebbe stupito il contrario”. Anche perché, spiega il gip Giuseppe Gennari nelle tre pagine con cui dispone l’archiviazione del procedimento, “le relazioni come quelle tra Vagliati e Lampada non producono flagranti corruzioni – ché oggi più nessuno si lascia corrompere compiendo atti illegittimi – ma uno scambio di relazioni ed influenze ben più grave e sistematico”. Ma ancora una volta “si deve prendere atto che questo scambio – in mancanza di una norma ad hoc – rimane al di fuori della rilevanza penale”. Conclusione: “Ogni prosecuzione della indagine sul tema della corruzione, oggi, non ha senso”.

Insomma, ci risiamo: il nodo sta nel vuoto legislativo del nostro codice penale che non punisce il reato di traffico d’influenze. E se, in questo caso, Armando Vagliati esce dall’indagine, per Antonio Oliverio, altro politico pizzicato a intrattenere rapporti con i boss, vale una richiesta di assoluzione da parte del pm (che ne chiese il rinvio a giudizio), accolta dal giudice Roberto Arnaldi che il 4 giugno 2012 ha depositato le motivazioni alla sentenza Infinito: 110 persone condannate, tre assolte, tra queste lo stesso Oliverio.

Al di là di tutto, per Vagliati come per lo stesso Oliverio resta un dato, che il gip Gennari, non manca di sottolineare: lo scambio di relazioni e influenze. Relazioni, ad esempio, tra lo stesso consigliere comunale e Giulio Giuseppe Lampada, oggi imputato per 416 bis, perché accusato di essere, sulla piazza di Milano, il riciclatore della potente cosca Condello. Da sempre Vagliati ha descritto i suoi contatti (certificati da decine di intercettazioni, ndr) con il colletto bianco della ‘ndrangheta come casuali e frutto “di sua buona fede”, o alla peggio, di “dabbenaggine”. E nonostante questo quella conoscenza con quel suo “simpatizzante” gli ha portato diversi vantaggi che lo stesso politico annota in un memoriale depositato agli atti del processo Valle-Lampada e che il giudice nel suo decreto di archiviazione non manca di riprendere.

La conoscenza tra il politico e il presunto boss porta certamente vantaggi al primo. Più difficile individuare i favori ottenuti dall’uomo della ‘ndrangheta. Ma restiamo sul punto del memoriale “dove – annota il giudice – il politico ripercorre i passi attraverso i quali Giulio Lampada lo ha progressivamente introdotto in contesti in cui lo stesso Vagliati riteneva di non potere entrare”. L’elenco? “L’onorevole Alemanno, Franco Morelli (consigliere regionale calabrese arrestato, ndr), gli ambienti romani della politica nazionale”. C’è dell’altro? Prosegue il gip: “Vagliati si rivolge a Lampada anche per ottenere un appoggio nella possibile nomina a Vice Presidente della Fondazione Fiera di Milano”. Ecco allora, in sintesi, il progetto politico che il consigliere comunale immagina grazia all’appoggio dell’uomo delle cosche: “Vagliati, grazie ai contatti di Lampada, spera di fare blocco politico in Lombardia con l’appoggio di Alemanno e di Oliverio. Progetto che, dice lo stesso Vagliati, si arena perché era Oliverio a voler fare il referente di Alemanno al Nord”.

Sul piatto dello scambio (mai provato fino in fondo, da qui l’archiviazione con restituzione degli atti al pm), il politico mette alcuni affari immobiliari. Tra questi l’acquisto un palazzo nel centro di Milano. Siamo nell’estate del 2009. La notizia dell’affare arriva da Vagliati. “E’ una bella operazione – dice il politico – con base d’asta bassa”. L’obiettivo sono 7 milioni di euro finanziati non dal boss ma da un imprenditore del caffè. E’ a lui che Vagliati promette di inviare la delibera con un messo comunale. “Voi altri politici avete anche i commessi”, ironizza Lampada. Il business è decisivo affinché il presunto riciclatore dei Condello attivi il suo pacchetto di voti. “Alla Regione che facciamo?”, chiede Lampada. L’altro: “Il 27 marzo 2010 si vota”. Quindi l’aut aut della ’ndrangheta: “Facciamo prima un’operazione economica oppure niente”. Il consigliere Pdl sa come funziona: “Lo so lo so”, dice e rilancia con un altro affare immobiliare: terreno in zona Parco sud, tra i proprietari c’è anche l’allora capo di gabinetto del sindaco Moratti, l’obiettivo è acquistarlo e fargli cambiare destinazione d’uso. Sul caso pende anche un emendamento al Piano di governo del territorio (Pgt), firmato dallo stesso Vagliati (febbraio 2010), dove si chiede di rendere edificabile il terreno. In quel periodo, dunque, l’obiettivo di Vagliati è quello di racimolare voti da spendere nelle regionali del 2010.

Nonostante tutto questo, la versione di Vagliati è ferma: quel Lampada era solo un esuberante imprenditore calabrese con molte conoscenze. Il politico lo ribadisce nel suo memoriale. Annota il gip: “Dice di non avere mai avuto idea dello spessore criminale di Lampada e che per dabbenaggine, ingenuità, buona fede non capì mai. E mai ebbe sospetti neppure quando Lampada stesso gli rivelò – a seguito di un articolo di giornale – che quantomeno gli affini Valle erano usurai e riciclatori”. L’articolo in questione esce nella primavera del 2009. Vagliati, però, non nutre sospetti. Inizia a dubitare di quell’imprenditore diventato in pochi anni il re dei videopoker, solo nell’estate 2010 e sempre in seguito a un articolo. Solo allora, Vagliati riceve una telefonata dove Lampada giura che si tratta di un errore giudiziario.

Qualcosa, però, sfugge alla memoria e al memoriale del politico Pdl. Una telefonata del gennaio 2010 che il giudice annota quasi integralmente. E’ il 29 gennaio 2010, Armandix (soprannome datogli da Lampada) è al telefono con il consigliere regionale calabrese Franco Morelli. Vagliati si lamenta del fatto che Lampada ha interrotto ogni contatto. Non parla più al telefono (“per paura di intercettazioni”, scrive il giudice). “Si è messo in letargo” spiega Vagliati. E ancora: “Bisogna andare di persona”. Il motivo sono le indagini a carico del “cognato Fortunato Valle e del padre Francesco Valle“. Vagliati è arrabbiato. Sa che l’assenza dell’amico può influenzare l’andamento della campagna elettorale. “Cazzo – dice – veniva qua tutti i giorni (…) rompeva le balle dalla mattina alla sera (… ) il ragazzo (…) se non gli rispondevo (…) eh (…) si incazzava (…) adesso che è il momento clou cazzo mi crolla una delle colonne portanti”.

La telefonata, definita dal gip di “straordinaria gravità”, fissa due punti decisivi. Il primo: almeno fin dal gennaio 2010, Vagliati sa qual è l’ambiente che ruota attorno a Lampada. Che fa? Nulla. Anzi tenta di contattarlo disperatamente. Il secondo: Vagliati, attraverso Lampada, entra in possesso di informazioni riservate su inchieste in corso. Risultato: per la giustizia italiana Armando Vagliati non è un politico corrotto. Un amico di uomini vicini alla ‘ndrangheta, invece, sì. Ma questo non basta.

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