Il Pdl è allo sfascio. Anche se nessuno, fra dirigenti e truppa, ha il coraggio di dire apertamente che una grossa parte del problema si chiama Silvio Berlusconi. Il fondatore del partito, artefice di tanti successi elettorali e altrettanti fallimenti governativi, sembra essere diventato un peso per la formazione più importante del centrodestra, reduce dal tracollo delle amministrative di giugno e oggetto di sondaggi impietosi. Il 3 giugno l’osservatorio Demos-Repubblica dava il partito al 17,4% (contro il 29,8 del settembre 2010) e la popolarità di Berlusconi a fondo classifica: 22,8% contro il 52,1 del premier Mario Monti.  

Oltre agli scandali giudiziari e non, le uscite estemporanee dell’ex presidente del Consiglio hanno messo in imbarazzo il segretario Angelino Alfano, dall’idea di far stampare euro dalla Zecca italiana, poi maldestramente derubricata a “battuta”, alle suggestioni sul futuro del partito, ridotto a uno “spezzatino” di liste civiche.

Intanto 14 tra deputati ed esponenti importanti del partito danno vita a “Per un’altra Italia“, la proposta di “un’organizzazione politica radicalmente nuova, organizzata sul modello del network politico on-line e che adotti come metodo politico di selezione della classe dirigente le primarie aperte e sequenziali come quelle che si svolgono negli Stati Uniti e non le primarie d’apparato introdotte in Italia dal Partito Democratico“. Tra i proponenti della “rivoluzione liberale”, cioè “l’obbiettivo mancato dal centrodestra italiano dal 1994 a oggi” figurano berlusconiani (ex) irriducibili come Giorgio Straquadanio, Gaetano Pecorella, Isabella Bertolini

La lettera del presidente del Senato Renato Schifani al Foglio evoca molti dei problemi sul tappeto, anche se evita accuratamente lo scontro frontale con il fondatore. Secondo Schifani, infatti, molti dei guai del Pdl derivano dall'”incommensurabile generosità” di Berlusconi. “Una generosità talmente connaturata alla sua personalità”, scrive il presidente del Senato, “che spesso gli impedisce di emarginare gli amici che sbagliano o di allontanare quelli che remano contro o lo portano fuori strada”.  

Al di là dell’iperbolico sussiego, Schifani smonta la narrazione berlusconiana degli ultimi mesi della politica italiana, mettendo nero su bianco che il governo di centrodestra “non è stato scalzato da chissà quali forze oscure, ma da una mancanza di coesione che non ha consentito alla maggioranza di varare le riforme tenacemente volute dai nostri partner europei”. E con l’operazione Monti, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha fatto “quel che andava fatto”. In più Schifani mette a nudo i limiti della strategia intrapresa da Berlusconi fin dal giorno delle sue dimissioni da premier: sostenere il governo Monti in Parlamento e criticarne immediatamente dopo ogni provvedimento per blandire l’elettorato. 

Ora sull'”operazione verità” di Schifani piovono adesioni di peso. “Parole serie, forti e talvolta dolorose, ma vere”, commenta Alfano. “Occorrerà agire, e subito, e anche per questo abbiamo convocato per domattina l’ufficio di presidenza del Popolo della Libertà”. Anche un falco berlusconiano come il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto dice di “condividere” la lettera di Schifani. “E’ indispensabile, sotto la guida di Alfano, e con il contributo di Silvio Berlusconi, rilanciare rinnovandolo il Pdl sia nell’azione che esso deve condurre per fare tutto quello che è possibile per modificare la linea di politica economica del governo Monti”. In tutto ciò “sono da evitare estremismi e grillismi, ma anche l’accreditamento di liste improbabili e ancor di più la cosiddetta separazione concordata fra gli ex di Forza Italia e An”. Sulla stessa linea Osvaldo Napoli, contrario a “liste e listarelle variopinte”, Maurizio Lupi, Enrico La Loggia, Lucio Malan, Gianni Alemanno. L’ex An Altero Matteoli appare piuttosto isolato quando critica i “toni sbagliati” del presidente del Senato. 

La ri-separazione tra le componenti di An e di Forza Italia è uno degli scenari possibili. “Noi lavoriamo nel e per il Pdl”, avverte l’ex ministro Giorgia Meloni, provenienza Fronte della Gioventù. “Poi se ci saranno delle spinte centrifughe, siamo quelli che hanno meno difficoltà ad organizzarsi”. E alla domanda se, in caso di riorganizzazione, Gianfranco Fini potrebbe tornare alla casa madre, Meloni risponde: “Io non ho preclusioni verso nessuno”. Quasi un nuovo sdoganamento per il presidente della Camera, diventato la bestia nera dei berlusconiani dopo la polemica separazione sancita dal famoso “Che fai, mi cacci?” e dalla campagna dei giornali di centrodestra sulla casa a Montecarlo.

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