L’hashtag #makers12 dedicato a World Wide Rome, l’evento tutto dedicato ai maker, cioè agli artigiani digitali, giovedì scorso è stato in cima alle classifiche del Twitter italiano per tutto il giorno. Migliaia di persone hanno seguito in streaming video e sui social network un convegno in cui i maker italiani si raccontavano e cercavano di tracciare l’evoluzione futura del movimento, tra stampanti 3D, vestiti e hardware open source e storie di piccola imprenditoria di successo.

Il titolo dell’evento era “Makers. La nuova rivoluzione industriale“. Di cosa si tratta? La definizione ‘maker’ nasce negli Stati uniti, dove esiste una rivista interamente dedicata a questi temi, Make appunto, ed è legata alla tradizione americana di hobbisti. La nuova rivoluzione industriale, secondo i sostenitori di questo approccio alla produzione, potrebbe arrivare nei prossimi anni grazie all’adozione di tecnologie di fabbricazione poco costose, grazie ai design open source che tutti possono scaricare, usare e modificare liberamente, e grazie alla cultura del fai-da-te, del metterci le mani, del costruire il proprio mondo. Insomma si parla di persone che cercano di fare innovazione progettando e costruendo oggetti su piccola scala.

I maker si ispirano alla filosofia dell’open source, cioè dell’innovazione condivisa: invece di brevettare o registrare le loro idee, tutto viene condiviso online, e chiunque può utilizzarle, rielaborarle, magari persino vendere i prodotti senza pagare nessuna royalty. Nel mondo del software questo modello è affermato: basta pensare a Linux, o anche a corporation come Ibm, che in alcuni casi ‘aprono’ i loro codici informatici rendendoli accessibili a tutti.

Qualche anno fa si è parlato appunto di passare “dai bit agli atomi”. Immaginate che produrre oggetti sia semplice come aprire un blog o scrivere una voce di Wikipedia. Infatti a WWR sono stati presentati progetti di fabbricazione di oggetti materiali secondo i canoni dell’open source e della produzione collaborativa online. Solo che invece di software o testi, si parla di stampanti in 3D, moda collaborativa, hardware open source.

L’entusiasmo per il fenomeno dei maker è altissimo, e non sempre giustificato. Molte delle esperienze presentate si limitavano alla produzione di piccoli oggetti di plastica tramite una stampante 3D (ciondoli o lampade, per esempio). Una lampada che cambia colore a seconda dei tweet mandati dagli utenti è un gadget divertente e che annoia dopo pochi minuti oppure un tassello della “nuova rivoluzione industriale”? Vectorialism, un gruppo di ragazzi che ha comprato un laser e ora produce oggetti plastici con i design personalizzati mandati dai suoi clienti (e non in serie, quindi), è un progetto di artigianato ad alta tecnologia oppure il predecessore di un nuovo modello produttivo in cui con poco capitale e molta creatività si potrà aprire un’azienda innovativa?

Ci sono meno dubbi invece con uno degli esempi presentati a WWR, un cannone spara marsh mellow presentato niente meno che da Obama (guardare il video per credere). D’altra parte, un vero esempio di successo presentato a World Wide Rome è Arduino, una piattaforma con un circuito integrato che può essere collegata a computer o a periferiche e che è completamente open source: chiunque può scaricarne i piani da Internet e costruirla senza pagare la licenza per alcun brevetto. Arduino è un prodotto italiano ormai usato (e invidiato) in tutto il mondo, e a presentarlo a WWR c’era il ‘padre’, Massimo Banzi, creatore di quello che è considerato il più importante esperimento di hardware open source.

Ad aprire e chiudere la giornata è stato Chris Anderson di Wired, la rivista ‘tecnoentusiasta’ per eccellenza, che insiste sul ruolo dell’innovazione aperta a tutti: secondo Anderson “ora siamo tutti designer” e tutti possiamo contribuire a progettare e costruire gli oggetti che usiamo. Se l’uso continuo della parola ‘rivoluzione’ sarà profetico, lo vedremo nei prossimi anni. Per ora questo orizzonte sembra ancora piuttosto lontano.

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