In un vecchio varietà, Paolo Panelli teneva una rubrica dal titolo “La parola all’esperto” e spiegava agli italiani il bricolage di cui era, appunto, un grande esperto. Ogni sua lezione si concludeva così: “A questo punto voi mi chiederete che cos’è il legno. Ed eccomi qui pronto a spiegarvelo: il legno è il legno”. La scena si sta ripetendo con i presunti tecnici del governo Monti che, quanto ad argomenti tecnici sul Tav Torino-Lione, non hanno nulla da invidiare ai politici dai quali dicono di volerci salvare. Ma nemmeno a Panelli. La loro adesione al Tav si fonda su questa motivazione squisitamente tecnica: “Il Tav si deve fare perché si deve fare”. C’è anche una variazione sul tema, anch’essa molto tecnica: “Il Tav si deve fare perché così è stato deciso”.

Si sperava che almeno Monti, della cui preparazione nessuno ha mai dubitato e che ha trascorso ai vertici delle istituzioni europee gli ultimi anni della sua carriera, ci illuminasse con parole un tantino più dettagliate e persuasive. Invece è stato più evasivo di un Bersani, il che è tutto dire: “Il Tav in Valsusa si farà per rimanere agganciati all’Europa, in senso anche fisico”. E “per evitare che in un continente alla deriva diventi sempre più difficile trovare posti di lavoro”. Perché, a suo dire, il Tav “genera benefici economici rilevanti e posti di lavoro” e addirittura consente “a giovani italiani di garantirsi un futuro”. Ora, qualunque cantiere crea posti di lavoro, anche quelli addetti a spaccare pietre e poi a reincollarle, anche quelli specializzati nello spostare massi da A a B e poi da B ad A. Si tratta di vedere quanto rende l’attività di un cantiere e dunque quanto costa ciascun posto di lavoro: quando Ugo Fantozzi va in pensione e cade in depressione, la moglie Pina va dal megadirettore galattico e lo paga di nascosto perché si riprenda il marito a lavorare. Ecco: Monti è Pina e i posti di lavoro del Tav avranno la stessa utilità di quello di Fantozzi: zero.

Si tratta infatti di costruire una seconda linea ferroviaria accanto a quella esistente (la Torino-Modane, appena potenziata per 500 milioni e già inutilizzata per l’80-90%), scavando per 15 anni un tunnel di 60 km dentro una montagna piena di amianto e materiali radioattivi e devastando una valle. Il tutto a un costo chi dice di 8, chi di 18 miliardi (preventivi, naturalmente: i consuntivi in Italia sono sempre il doppio o il triplo) che ci vorranno due o tre secoli per ammortizzare. A questo punto, visto che per il Tav si prevede di dare lavoro a 3-4 mila persone, è molto meglio mandarli a spaccare pietre e poi a reincollarle, o a spostarle di qui a lì e di lì a qui: costa meno.

Oggi, negli articoli di Sansa e Ponti, i lettori del Fatto trovano altre smentite tecniche sul rapporto costi-benefici (i primi sovrastimati i secondi sottostimati) e sull’impatto ambientale-sanitario (devastante) del Tav: dati provenienti non dai black bloc o dagli anarcoinsurrezionalisti, ma dall’Europa, dall’Agenzia nazionale per l’ambiente francese e dai migliori atenei e politecnici italiani. E allora, se tutt’oggi le autorità europee e francesi ritengono i calcoli sul Tav approssimativi e inaffidabili, perché le ruspe sono già in movimento? Sul sito de lavoce.info, poi, si scopre che anche l’“aggancio all’Europa” di cui favoleggia Monti è una maxiballa: l’Italia è già agganciata alla Francia con l’autostrada, col treno veloce passeggeri (il Tgv), col treno merci (Torino-Modane) e via aerea.

Quanto all’epico Corridoio 5 da Lisbona a Kiev, “è solo un tratto di pennarello sulle carte” e soprattutto “la Commissione europea non richiede affatto che l’attraversamento delle Alpi sia effettuato con una linea ad Alta velocità/capacità: sia a Est sia a Ovest le merci continueranno a viaggiare su reti ordinarie, come del resto da Lione a Parigi”. Tutto questo i grandi giornali, house organ del Tav, non lo dicono. E neanche i “tecnici” di governo: perché non lo sanno o perché è meglio non dirlo? Nel primo caso sarebbero dei cialtroni, nel secondo dei banditi.

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