La Grecia è ufficialmente fallita. Ma anche no. Sembra la battuta di un comico, magari di uno bravo, uno particolarmente forte con le imitazioni. E invece, nell’universo della regolamentazione dei mercati, c’è chi lo ha detto sul serio. L’haircut sui titoli sovrani di Atene, che sancisce l’insolvenza della Grecia e impone agli investitori un perdita effettiva del 75% sul valore dei bond stessi, determina de facto la bancarotta ellenica eppure, nonostante tutto, non imporrà la liquidazione dei Credit default swaps, i derivati assicurativi che dovrebbero “pagare” proprio in caso di bancarotta. Una sostanziale assurdità semantica che ora, dopo mesi di attesa, è diventata realtà. Stabilendo un micidiale precedente e svelando al tempo stesso la vera natura di quelli che fino a poco tempo fa venivano considerati semplicemente innocui strumenti di copertura assicurativa.

Un Credit default swap, è bene ricordarlo, è un contratto derivato nemmeno troppo complesso in cui una parte (A) si impegna a tutelare l’altra (B) dall’impossibilità di recuperare un credito a fronte dell’ipotetica bancarotta del debitore (C). In questo caso A, cioè le banche americane, si erano fatte garanti del debito di C, cioè la Grecia. B, cioè i creditori di Atene, ne avevano sottoscritti per 3,2 miliardi di dollari retribuendo così le banche per il rischio ma convincendosi anche di essersi messi al riparo. Un tragico errore. L’International Swaps and Derivatives Association (Isda), regolatore supremo di uno dei mercati meno regolamentati del mondo, ha stabilito che i miliardi di Cds costruiti sulla Grecia non dovranno essere liquidati per il semplice fatto che quello sull’haircut non è altro che un accordo “volontario”. E poco importa che in realtà si tratti di un’intesa imposta di fatto in modo unilaterale (prendere il 20% o lasciare tutto quanto). Insomma, gli investitori hanno perso. E i Cds, in quanto polizze, si sono rivelati perfettamente inutili.

La decisione dell’Isda, in realtà, non è nemmeno una grande notizia, visto che l’interpretazione del caso era data ormai ampiamente per scontata. L’aspetto davvero impressionante è però un altro, ovvero la reazione del mercato. Qualche giorno fa, dicono i dati forniti da Cma Vision, una delle principali società di monitoraggio del comparto derivati, il costo dei Cds sulla Grecia valeva oltre 22 mila punti base. In sostanza, assicurare un credito da 10 milioni con Atene costava circa 22 milioni. Un’assurdità totale. E visto che nessun investitore sano di mente potrebbe mai voler acquistare una polizza che costa oltre il doppio del valore di ciò che si vuole assicurare, la conclusione non può che essere univoca: i Cds hanno definitivamente smesso di essere ciò che erano in apparenza.

Per capire cosa sia accaduto è necessario però guardare a un altro dato se possibile ancora più impressionante. Il valore dei Cds sovrani, oscilla tipicamente di non più di 40-50 punti base ogni giorno. Venerdì, ha spiegato ancora Cma, il costo dei derivati assicurativi sulla Grecia era sceso però sotto quota 8 mila punti, il che significa che il mercato ne aveva bruciati non 40 o 50 bensì qualcosa come 14 mila. D’accordo, si dirà, la Grecia fa ormai storia a sé. Ma l’evento è comunque notevole, soprattutto pensando a chi ha avuto la possibilità di vendere al momento giusto. Insomma, se il prezzo dei Cds continua a variare in questo modo significa che il mercato esiste ancora. Ovvero che conviene trattarli, a maggior ragione se si possono sfruttare le variazioni di prezzo per ottenere un guadagno immediato. In altre parole, ciò che in passato doveva essere uno strumento assicurativo si è trasformato oggi in un veicolo puramente speculativo.

Il valore totale dei Cds circolanti nel mondo vale circa 32 mila miliardi di dollari, 2.900 miliardi è invece il valore dei soli Cds a protezione dei soli titoli di Stato che, come dimostra il precedente greco, non costituiscono affatto un’assicurazione contro il rischio default. In sintesi quasi 3 trilioni di dollari di carta utilizzati per operazioni esclusivamente speculative. Un gioco virtuale con soldi veri, insomma. Che dopo la sentenza dell’Isda, se non altro, si giocherà ora a carte scoperte.

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