Basta sfogliare un qualsiasi quotidiano nazionale o locale per accorgersi di un fenomeno molto spiacevole, una vera e propria strage silenziosa: l’anno nuovo è arrivato quattro giorni fa e, tra i piccoli imprenditori e commercianti (praticamente coloro che tengono in piedi il Paese), i suicidi raccontati dalla stampa sono già cinque (una dozzina negli ultimi due mesi, 2.800 dal 2009 ad oggi). Una media che fa rabbrividire. Eppure qualche sera fa, in tv, ho sentito il sottosegretario all’Economia, Polillo, dire che l’Italia ha conosciuto crisi più gravi, le ha superate e “siamo tutti qui”. Magari voleva diffondere ottimismo, come gli avrà insegnato Silvio Berlusconi; invece, l’effetto è tutt’altro, perchè il linguaggio della politica (così come quello dei “tecnici”) offende ogni giorno di più la dignità di coloro che veramente stanno affrontando la crisi economica: piccoli imprenditori, lavoratori, operai.

Polillo infatti è qui, certo, ma i tanti piccoli proprietari di impresa che si sono tolti la vita perchè terribilmente spaventati dal presente e dal futuro, costretti a fare i conti con lo spettro del fallimento, in preda alla vergogna per i debiti che non riuscivano a pagare, inseguiti dagli usurai o sopraffatti dalla consapevolezza di dover licenziare un dipendente, non ci sono più. Le loro imprese hanno chiuso quasi tutte e le loro famiglie sono ormai spezzate.

Ovviamente non si suicidano gli amministratori delegati delle grandi imprese o chi evade le tasse per milioni di euro, ma quei piccoli imprenditori che pagano e hanno un rapporto umano con i propri dipendenti. Anche perchè, lo sappiamo, il calo dei consumi colpisce ovviamente gli imprenditori e i commercianti più piccoli (e inevitabilmente i lavoratori), e non bastano più le associazioni di categoria o i consorzi.

Oggi il mondo dell’impresa e del commercio ha bisogno che lo Stato agisca per agevolare la produzione e i consumi. Invece succede che i governi aumentano le tasse e lo Stato dimentica di pagare i debiti che ha con le imprese. E quindi le piccole imprese si ritrovano con le cartelle esattoriali puntualissime e i pagamenti da parte dello Stato in clamoroso ritardo. Quando si dice l’equità

Prendiamo ad esempio la Sicilia, isola in crisi praticamente da sempre: le imprese (piccole, perchè di grandi ce ne sono veramente poche) che hanno chiuso i battenti nell’ultimo anno sono circa 15 mila (oltre 3 mila a Palermo, dato triplicato rispetto al 2010), e i posti di lavoro persi tra il 2010 e il 2011 sono circa 49 mila. Numeri che danno l’idea di come il territorio siciliano stia risentendo di queste ulteriori batoste. Nel 2012, inoltre, la Cgil prevede una perdita di altri 10 mila posti di lavoro, e Unioncamere stima il dato peggiore d’Italia rispetto all’andamento della spesa per i consumi delle famiglie (Sicilia -0,8%, Italia -0,2%).

Questo governo, che con la scusa di essere tecnico ha congelato la politica e la solidarietà, quanto aspetterà prima di provvedere a rispondere in modo concreto a quei piccoli commercianti e imprenditori che ancora nutrono una flebile speranza e che tra poco potrebbero fare scelte drammatiche?

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