È mezzanotte e loro sono già in fila. Da due ore. Attendono. E attenderanno per quasi 12 ore. “Ma cosa fanno?”, chiede la gente incuriosita. Aspettano. “Regalano qualcosa? Promuovono l’iPad5?”, chiedono i più esperti. No, nulla di tutto ciò. Alle nove di mattina si apriranno le porte di vetro del più grande Apple store d’Italia. L’unico ad avere l’elegante beneficio di essere situato nel centro storico. Di fronte ai bolognesi una via Rizzoli illuminata a giorno e chiusa al traffico, costretta a scimmiottare la Fifth Avenue di Manhattan, dove gli spazi rendono giustizia al colosso dell’informatica. Ma sotto le due torri, incastonata fra vie medievali e sanpietrini, risulta abbagliante. Quasi invadente. E brillano infatti, gli occhi dei primi sessanta accampati e già in fila, che qualche ora dopo metteranno per i primi piede nel territorio di Steve Jobs.

Vengono da tutto il Paese per essere presenti a quelli che sono considerati gli eventi storici della nostra epoca. L’apertura di un negozio di computer. Nel corso della notte aumentano anziché diminuire. Tutti illuminati dalla luce bianca della Mela. C’è chi gioca a Risiko, chi mangia, chi sul marciapiede è venuto a guardarsi un film. Il tutto, accompagnato da Coca-cola e Mac Donald’s. Questa è l’America arrivata in una Bologna gelosa delle sue tradizioni.

“Sono emozionato”, racconta Alex, 18 anni, il numero uno della fila. “Sono partito alle due da Venezia, dovevo essere il primo a entrare”. Alex, diploma da grafico pubblicitario, illustra il contenuto delle preziose vetrine come fosse un museo: “Qui abbiamo il MacBook Air, il computer più sottile del mondo. Come vedi è affiancato da un i-Pad che ti mette in contatto col tuo genius – dice Alex provando a spiegare capacità di memoria e hard disk di ciascun apparecchio, con parole tecniche e non necessariamente comprensibili – l’addetto ti aiuta a fare il set up (configurarlo, ndr), fare i primi passi nell’App Store (quello spazio virtuale chiamato dispositivo che ti consente di fare acquisti nel magico mondo Apple, volendo tramite iTunes card, delle varie applicazioni).

Il riconoscimento per una notte all’addiaccio è l’ambitissima maglietta, che testimonierà l’appartenenza al sistema informatico e di consumo che è riuscito a creare. Un impero con tanto di sudditi devoti e adoranti: “è una fede”, dice un adolescente autoctono. e dall’amico: “una fede o una malattia?”.

Dentro, i computer pronti ad accogliere i loro fan, e una squadra di addetti alle pulizie che lustra al centimetro senza sosta e a ripetizione i tre piani di vetro.

Lo stupore dei passanti è imperterrito: la gente in giro per la notte bolognese non vuole convincersi, non ce n’è uno che non si sorprenda nell’apprendere che in palio non c’è nulla.“Evidentemente non lavorano”, concludono.

Ciò che più stupisce è che la maggior parte di queste persone non comprerà nulla.

Da un lato sono tutti già ampiamente attrezzati: “Io ho tre Mac. Un portatile, un fisso e un vintage: il buon vecchio G4 lampadone, anno di produzione 2001. Poi l’iPad, l’ iPhone e l’iPod ovviamente”. C’è anche chi ti mostra con fierezza l’iPad2 e i prodigi della sua copertina che accende autonomamente lo schermo, con un chiaro risparmio di energia manuale, e chi l’iPod nano ce l’ha incastonato in un cinturino di titanio e ne ha fatto un orologio. Ma che prima di dirci l’ora, deve armeggiare sul nano-schermo un bel po’ con i polpastrelli: troppe applicazioni. Dall’altra, sono prezzi proibitivi: “L’Apple non fa sconti”, dicono con inspiegabile orgoglio. In compenso “hai un tipo di assistenza che non trovi da nessun’altra parte. Hai un addetto genius che per un’ora segue solo te, spiegandoti il funzionamento di ciò che acquisti o fornendo assistenza accompagnata – spiega Claudio, torinese di 58 anni che non si è lasciato scappare una sola delle 7 inaugurazioni italiane – si chiamano genius bar apposta, perché è come andare a farsi un aperitivo e parlare con il barista. Quando esci hai risolto tutti i tuoi problemi”. E si sente in coscienza di precisare: “Questo ripaga ampiamente i costi, ben lontani dall’essere economici”.

C’è chi lo ritiene un investimento per il futuro: “Io l’iPad4 gliel’ho comprato – dice il padre di Andrea – perché questo è il suo futuro, anche se ha 13 anni. Sono strumenti che può permettersi solo un uomo di 40 anni, ma è fondamentale investire nell’informatica”. E quando uscirà la nuova versione? “Gli comprerò anche quella: ci vuole l’aggiornamento continuo. E alla Apple ti fanno i corsi, ti spiegano come usarli: è un’arma importante per spingerti a comprarlo”. Esattamente. Andrea, un linguaggio da imprenditore, salterà un giorno di scuola a Brescia per essere qui. Da grande vuole fare lo “specialist”: il commesso.

Ma attenzione: “Non è un normale commesso, perché non sei qui per vendere, ma per spiegare. Lo scopo è far tornare i clienti, accompagnarli nell’acquisto, insegnargli a utilizzare il prodotto”. Tredici anni. E non è l’unico. La maggior parte di questi ragazzi, tutti intorno ai 18-19 anni, ha come ambizione quella di lavorare alla Apple, ma non come programmatore informatico o dirigente, no: diventare “genius bar”. Un adepto della Apple che non ti lascia mai solo illustrandoti le meraviglie di quel paese di Alice che è l’informatica. Ormai, il dentro e il fuori sono invertiti: “io sono fuori dal mondo – dice una ragazza fermatasi a chiedere spiegazioni – Vivo nella realtà”

Nel frattempo, la security – una ventina di colossi in maglietta arancione che sembrano modelli – inizia a chiudere la strada con le transenne e a preparare la lunga serpentina che accoglierà le migliaia di avventori attesi “non sono mai stati meno di 10.000”, racconta un vigilante “abbiamo il conta-persone che ce lo segnala”. E durante la giornata, saranno più di 80 contemporaneamente le guardie del corpo Apple.

Ore 8 del mattino. Via Rizzoli straborda: i fan della mela morsicata sono divenuti migliaia, tanto che il servizio di sicurezza ha perso il conto. Aspettano i loro idoli, i genius. Aspettano da ieri sera, quasi 12 ore, dalle 22 alle 9 del giorno dopo. E alle nove meno un quarto, ecco che inizia il rito di apertura dello store: 120 persone, tra genius e dirigenti italiani e americani, daranno il benvenuto ai clienti che correranno all’interno del negozio battendo il cinque uno a uno in perfetto stile americano. Ai primi mille, la maglietta.

Agli altri, gloria e un cornetto. Come una squadra di calcio, i commessi e le loro magliette azzurre escono facendo il giro del serpentone straripante entusiasti che li acclamano e che loro gratificano salutando. E infine, con un conto alla rovescia, il trionfo. Si da il via alla cerimonia che ha un che di mistico, forse per l’esaltazione generale. Il suono di cori da stadio proviene ininterrotto dalle casse toraciche dei commessi a marchio Apple “ti ringraziamo per questo grande amore – cantano, mentre a mani alzate incoraggiano la folla elettrizzata – andiamo tutti all’Apple store” (si badi bene, con la “e” finale pronunciata).Intorno, una Bologna mattutina perplessa e un po’ sgomenta, si è fermata a guardare. Passa anche l’assessore alle Comunicazioni Matteo Lepore, che si ferma divertito (ma forse un po’ spaventato) ad assistere alla città americanizzata. Sullo sfondo, i carroattrezzi portano via moto e scooter, per cedere il passo ai T days che iniziano oggi (rimpinguando non da ultimo le casse del comune). Intanto la gente affluisce dentro, lentamente, i gruppi verranno suddivisi: 80 persone alla volta, per tutto il giorno. Incanalati nei corridoi d’alluminio. Alex spunta dalla finestra e saluta. Ha raggiunto il suo traguardo. E probabilmente, anche la Apple.

Il video è di David Marceddu

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