In una lettera a una rivista anarchica degli anni ’20, un lavoratore socialista si scagliava contro il lavoro alle donne. La donna, diceva, è fatta per stare accanto al focolare, non per rubare il lavoro all’uomo. Vien da chiedersi come potesse un uomo che predicava l’uguaglianza sociale propugnare allo stesso tempo una tale diseguaglianza. E come possiamo essere un po’ tutti così progressisti a parole e così reazionari nei fatti? Così umili nelle intenzioni e così arroganti nella realtà?

Si potrebbe partire dallo schema di Laborit, il quale affermava che di fronte a un tentativo di dominanza ci sono tre possibilità: sottomissione, lotta, fuga. In base a questo schema il potere non esisterebbe se non ci fosse molta gente disposta alla sottomissione. Ma come può il potere di pochi tenere sotto scacco tanta gente? Credo che ciò avvenga attraverso la geniale invenzione della gerarchia.

La gerarchia è un astuto stratagemma per moltiplicare a cascata il meccanismo di dominanza-sottomissione. A parte il vertice, tutti sono sottomessi, ma tutti hanno l’illusione di dominare qualcun altro, via via, fino agli ultimi in un meccanismo che dà l’illusione della libertà, ma che visto da lontano ci rimanda l’immagine di una guerra di tutti contro tutti.

Probabilmente gli esseri umani hanno cominciato a collaborare tra loro quando hanno compreso che collaborare è più utile che lottare. La collaborazione, il lavoro comune, è l’unico meccanismo che permette di sfuggire alla trappola delle tre opzioni: sottomissione-lotta-fuga. La collaborazione estromette dalla società l’idea di dominanza e di privilegio. Ma la classe dei privilegiati dominanti, da sempre la più potente, allo scopo di tenersi in vita cercherà sempre di rendere ostico il concetto di collaborazione ed esaltare il culto della persona. Ecco perché, nonostante sia sconveniente ai più, il vecchio e rugginoso sistema dominanza-sottomisisone torna a più riprese in auge corroborato da amplificatori sociali regolati ad arte per invitare alla lotta o alla sottomissione.

A tutti i livelli, in ogni classe sociale, anche tra i più umili, vengono creati miti che spingono tutti nella trappola a suon di coraggio, di fierezza, di sicurezza, di ordine, di patriottismo, di concorrenza, di speranza, di onore, di ambizione, di avidità e di altri euforizzanti sociali.

Chi non entra nella trappola ha la possibilità della fuga attraverso l’espatrio, il suicidio, la droga, il misticismo e alcuni tipi di malattia mentale.

Fino al giorno in cui non avremo compreso veramente l’utilità del lavoro comune, fino a quando non difenderemo questa opzione dagli assalti del meccanismo dominanza-sottomissione, saremo vittime e compici dell’arroganza dei potenti.

Secondo me è per questo motivo che un socialista può essere maschilista, un sindacalista può essere mafioso, un prete può essere avido, un comunista può essere fascista.

Articolo Precedente

Per restaurare un convento ci vuole Lucas

next
Articolo Successivo

Georgette Buhlmann, muscoli senza rughe

next