Si sa che Cuba non gode di buona stampa in Italia e in genere nell’Occidente capitalistico. Un po’ per l’intramontabile astio degli Stati Uniti, che a oltre cinquant’anni di distanza dalla Rivoluzione ancora non si rassegnano di aver perso la loro principale colonia, un po’ per la spocchia degli occidentali, onestamente convinti che il resto del mondo debba imparare da loro le sacre leggi del mercato, della democrazia e della libertà.

Sono all’Avana da quasi una settimana oramai, per accompagnare la troupe cinematografica che sta realizzando le riprese per il film The Cuban Wives, diretto dal giovane regista Alberto Dandolo, sulle famiglie dei Cinque eroi cubani, che verrà presentato a partire da novembre in tutti i principali festival cinematografici internazionali. La storia è quella, che vi ho già raccontato su questo blog, dei cinque agenti inviati in Florida per infiltrarsi nei gruppi terroristici che preparavano attentati contro Cuba, agenti arrestati quasi tredici anni fa, condannati per crimini inesistenti e ancora in carcere negli Stati Uniti.

Ne ho approfittato per tornare qualche giorno, per la sesta volta nella mia vita, in quella che già Cristoforo Colombo descrisse come la più bella delle terre. Ma la bellezza di Cuba non è solo nei suoi incomparabili paesaggi e nel blu intenso del suo cielo. Quello che colpisce è la tranquilla e fiera dignità della gente, che sa di appartenere a un Paese che da oltre cinquant’anni ha recuperato il sacro valore dell’indipendenza nazionale. Un Paese che, pur essendo piccolo, insulare e sottoposto a un vero e proprio accerchiamento da parte della massima potenza mondiale, ha garantito una vita degna ai suoi oltre dieci milioni di abitanti e dato al mondo un grande contributo sul piano politico, scientifico, culturale ed umanitario.

Da questo ultimo punto di vista basti menzionare gli oltre ottomila medici che prestano servizio internazionale nelle situazioni più difficili, dal Pakistan ad Haiti. Le statistiche, come quelle relative alla lunghezza della vita media, e i riconoscimenti ottenuti da organizzazioni internazionali come l’Unesco e l’Oms ci dicono che la qualità della vita a Cuba è alta. La criminalità pressochè assente, a poche decine di chilometri di distanza dal Messico e dal Centroamerica oggi purtroppo vittima della piaga del narcotraffico.

L’ultimo congresso del Partito comunista cubano ha promosso una serie di mutamenti per far fronte alla crisi economica che colpisce tutto il mondo e dare spazio alla piccola imprenditorialità e alla proprietà individuale della casa e delle automobili, un aggiustamento necessario per realizzare quella grande sintesi che oggi appare indispensabile dopo i fallimenti del socialismo reale e quelli, in mezzo ai quali ci troviamo ora, del capitalismo reale. La sfida è importante: conciliare l’indipendenza nazionale con la libertà di espressione, e la soddisfazione dei diritti fondamentali con un certo margine per la libera impresa, migliorando la rivoluzione nel pieno rispetto dei suoi principi di fondo.

Ma si può essere ottimisti, perché il pensiero rivoluzionario, a Cuba, ha profonde e antiche radici autoctone, simbolizzate dalla figura di José Marti. Se si vuole nutrire ancora, nonostante tutto, un po’ di fiducia nell’umanità oggi a rischio per guerre e disastri ambientali, bisogna oggi guardare a questa isola, piccola ma grandissima da un punto di vista morale, e stare al suo fianco, senza se e senza ma, con l’umiltà necessaria per poter essere, se serve, anche critici, nella misura e nel modo giusti.

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