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Orti, ma non di guerra

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Qualcuno ricorda che durante la Seconda guerra mondiale gli americani con spirito patriottico producevano il 40 per cento degli ortaggi dietro casa nei cosiddetti «Giardini della Vittoria».
Mario Calabresi, La Repubblica, 8 luglio 2008

Oggi nel mondo ci sono circa 800 milioni di contadini urbani.
Piero Bevilacqua, Miseria dello sviluppo, Editori Laterza, 2008

A cavallo della Seconda guerra mondiale si chiamavano “orti di guerra”. Erano diventati famosi perché occupavano persino le aiuole dei monumenti più noti o i giardini delle città. Se vi fate un giro su Internet, troverete immagini strabilianti di coltivazioni di grano e girasole ai piedi dell’Altare della Patria o in Via dei Fori Imperiali, a Roma, o in Piazza Duomo, a Milano, o al Parco del Valentino, a Torino. Ma più prosaicamente erano gli orti di necessità che molte persone si coltivavano durante la guerra e nel dopoguerra in cui le risorse erano scarse. Erano un modo per portare in famiglia qualcosa da mettere sotto i denti. Ancora oggi, se andate a curiosare nelle aree un po’ più al confine della città, tra svincoli, tangenziali, autostrade, aree degradate, sicuramente qualche “orto di guerra” lo trovate ancora. Magari saranno solo fazzoletti di terra, irrigati chissà come, ma resistono.

Oggi non siamo più in guerra, o meglio, allora di guerre ce n’era una sola, adesso ce ne sono invece un tot, ma diciamo che non ce l’abbiamo in casa (noi la esportiamo solo, come “missione di pace”). Oggi la frutta e la verdura abbondano, ma ciononostante la bella e sana abitudine di coltivarsi il proprio orticello è rimasta ed anzi è tornata di moda. E speriamo non resti una moda.

Infatti, venendo incontro a un’esigenza sempre più diffusa, molte città (ad esempio, Reggio Emilia, Torino, Bergamo, Milano e anche tanti altri centri minori) hanno deliberato con propri atti pianificatori di delimitare delle aree pubbliche alla coltivazione. Altre volte invece l’iniziativa parte dal basso e sono gruppi di cittadini che chiedono essi stessi in affitto o comodato ai Comuni aree abbandonate da destinare a coltivo.

Io trovo che sia una delle iniziative più belle ed educative che siano nate in questi tempi bui. Tanto educativa che la estenderei alle scuole. Perché non realizzare fin dalle scuole elementari degli orti al posto di cortili o giardini malandati? Al posto di un’ortensia non è forse meglio avere delle piante di zucchini, che fanno i fiori (e li si mangia) e poi fanno i frutti (e li si mangia ancora)?

Vedo davvero solo aspetti positivi negli orti urbani. L’aspetto salutistico (faccio attività fisica ed ottengo prodotti esenti da veleni), l’aspetto emozionale (mangio ciò che produco, che ho visto crescere), l’aspetto sociale, l’aspetto della comprensione della natura. Forse non si risparmia, perché spesso frutta e verdura al dettaglio hanno prezzi irrisori (diciamolo, anche perché non vengono calcolati i costi esterni…), ma ci si guadagna sicuramente nel complesso. E poi, chi coltiva un orto urbano non lo sentirete mai dire, vivaddio, quelle sciocche frasi del tipo: “Piove sempre” (dopo un giorno di pioggia) oppure: “Io vorrei che nevicasse ma non qui in città”. Chi coltiva un orto sarà un po’ più inserito nel grande ciclo di Madre Natura.

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