La sede milanese del Corriere della Sera

Nuovi problemi in via Solferino. Dopo la sofferta firma dell’accordo fra la proprietà del Corriere della Sera e il comitato di redazione, la Rcs Quotidiani è ora alle prese con un altro guaio: la “rivolta” delle redazioni locali del giornale milanese.

Sulle pagine di tutti i dorsi locali del quotidiano, oggi è apparsa una lettera in cui il coordinamento dei Cdr delle edizioni locali del Corriere denuncia una serie di discriminazioni professionali. “Le nostre redazioni funzionano in tutto e per tutto come redazioni decentrate del Corriere – si legge nel documento – ma noi non possiamo firmare sul Corriere della Sera, e sull’home page di Corriere.it non possono essere pubblicati più di tre pezzi locali in contemporanea”.

Secondo i 120 giornalisti delle edizioni locali, la questione della firma è un aspetto essenziale della vertenza sindacale. “Sul Corriere solo a noi è vietato mettere la firma in calce alle notizie che troviamo”, dice Marco Angelucci del Cdr del Corriere dell’Alto Adige. “E’ paradossale. Anni fa, quando ero un semplice collaboratore e trovavo delle notizie importanti dall’Alto Adige, i pezzi andavano sulla cronaca nazionale a mia firma”, continua Angelucci. “Ora che finalmente sono stato assunto, non godo più dello stesso diritto”.

I cronisti locali rivendicano un ruolo non di secondo piano negli scoop che hanno caratterizzato il quotidiano di via Solferino. “Siamo le sentinelle sul territorio – insiste il cronista altoatesino – Ad esempio il caso D’Addario (la escort barese che mise nei guai il premier, ndr) è una notizia che hanno trovato i colleghi di Bari”.

“Noi spesso troviamo le notizie in esclusiva – dice una fonte anonima che lavora in un dorso locale – le scriviamo e poi dobbiamo mandarle a Milano. A quel punto un collega della redazione centrale tratta il nostro articolo come fosse un’informativa, cambia due righe e ci mette il suo nome e cognome”.

La fronda delle redazioni locali non è solo contro la proprietà del Corriere, ma anche contro i colleghi del comitato della redazione centrale. “I nostri stessi colleghi del Comitato di redazione del Corriere della Sera difendono regole corporative”, recita il comunicato in edicola oggi sulle edizioni locali.

“I cronisti di Milano e Roma ci trattano come fossimo dei ‘cinesi’ arrivati a rubare il loro lavoro – dice Alessandro Mantovani del Corriere di Bologna – Ma quello che chiediamo è semplicemente di farci firmare i nostri pezzi almeno quando troviamo le notizie in esclusiva”.

Dal fronte del Cdr centrale, Mario Pappagallo risponde colpo su colpo: “La storia delle firme è un bluff colossale. Sono anni che chiediamo ai colleghi dei dorsi locali di presentare un dossier con degli esempi di articoli presi e firmati da altri. Non è mai arrivato niente”.

“All’ultimo incontro che abbiamo avuto a marzo con il sindacato dei giornalisti e la federazione degli editori – dice un collega del Cdr nazionale che però chiede di rimanere anonimo – abbiamo chiesto ai cronisti locali, se non una lista, di farci qualche esempio di questa millantata ruberia. Hanno fatto scena muta”.

Ma la questione della firma è solo la punta dell’iceberg dello scontro fra periferia e centro. Il vero problema è che i cronisti delle edizioni locali fanno in tutto e per tutto lo stesso mestiere dei colleghi del nazionale, ma hanno un trattamento professionale molto diverso. Innanzitutto per gli assetti delle varie società che controllano i dorsi. Rcs quotidiani Spa infatti è solo un socio – a volte neanche di maggioranza – delle varie società editrici che sono partecipate da altri azionisti locali.

“E’ vero che il mio datore di lavoro non è Rcs – dice Mantovani dell’edizione bolognese – ma quando disegno una pagina, la devo mandare a Milano. Il direttore della mia edizione è in costante contatto con un collega designato da Ferruccio De Bortoli (direttore responsabile del Corriere della Sera, ndr) e lo informa di tutto quello che passa sotto le due torri. E la stessa cosa avviene in tutte le altre le città. Come si fa a dire che non lavoriamo per il Corriere?”.

Dalla redazione centrale, anche su questo punto, rispondono picche. “Quando 14 anni fa a Napoli è nato il Corriere del Mezzogiorno – racconta una fonte del Cdr nazionale – abbiamo accettato che una parte di giornale entrasse nel nostro quotidiano solo a una condizione: che i giornalisti di queste edizioni non togliessero lavoro ai colleghi del nazionale. Se ora ammettiamo questi 120 giornalisti fra le nostre file, diamo il via libera all’azienda per licenziare altri cronisti del nazionale”.

Come dire mors tua vita mea. Alla faccia dell’unità del sindacato dei giornalisti italiani.

Peccato però che la costante emorragia di copie di cui soffre il Corriere della Sera è tamponata solo in parte nelle regioni in cui l’edizione nazionale è accompagnata dal dorso locale: Bologna, Firenze, il Trentino Alto Adige, Il Veneto, la Puglia e la Campania. “L’azienda tiene dove ci siamo noi del locale”, dice Angelucci dell’edizione di Bolzano. E ha ragione. In Piemonte, dove non esiste nessuna edizione locale, il Corriere tira 14.800 copie. Al contrario in Emilia Romagna, che grosso modo ha gli stessi abitanti, più del doppio.

“Il futuro del più grande e autorevole giornale italiano dipenderà anche dalla capacità di integrare al meglio la straordinaria ricchezza del radicamento territoriale realizzato in 14 anni dalle edizioni locali”, si legge nel comunicato. Che però conclude con una velata minaccia: “In mancanza di risposte adeguate, saranno necessarie forme più incisive di azione sindacale”. E all’interno dei vari Cdr c’è già chi parla di sospendere la collaborazione con via Solferino.

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