La tensione torna alta in Siria dove i carri armati dell’esercito hanno circondato la città di Daraa, teatro da due settimane delle proteste anti-regime. Secondo voci, poi smentite, le forze di sicurezza avrebbero sparato sulla folla. Il popolo siriano attende il discorso alla nazione che Bashar al-Assad dovrebbe tenere entro mercoledì. Al presidente si è appellato anche il Parlamento per voce del primo ministro Mohammed Habash che durante una seduta notturna gli ha chiesto di riferire presto in aula per illustrare le riforme annunciate in tv dalla sua super consigliera Bouthaina Shaaban. Tra le misure promesse, spiccano la revoca dello stato d’emergenza in vigore da 48 anni, come chiesto a gran voce dalla piazza, e la riforma della legge sui partiti e sui mezzi d’informazione. Le proteste divampate nel Paese con scontri tra manifestanti e forze dell’ordine avrebbero provocato, come riportato dalle associazioni per la difesa dei diritti umani, almeno 130 morti, la maggioranza dei quali caduti nella città di Daraa, 130 chilometri a sud della capitale, vicino al confine giordano. Dall’Egitto intanto le forze armate hanno annunciato che l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak e la sua famiglia sono stati posti in residenza sorvegliata, con il divieto di lasciare il paese. 

Yemen. Nonostante le inarrestabili proteste contro il regime e la richiesta di nuove riforme, il presidente Saleh sembra determinato a rimanere al potere. Questa mattina, nell’esplosione di un deposito di armi e munizioni nella regione meridionale di Abyen, sono morte almeno 110 persone secondo quanto riportato dalla tv satellitare ‘al-Arabiya’. Secondo fonti locali la vicina città di Jaar è da ieri in mano a centinaia di miliziani tribali, tra cui anche militanti di al-Qaeda, che pattugliano la zona a bordo di veicoli blindati sottratti all’esercito. Poco prima della deflagrazione il deposito di armi era finito in mano ai miliziani. 

Bahrein. L’ipotesi di una mediazione del Kuwait nella crisi che sta scuotendo il Bahrein è “totalmente infondata”. Ad affermarlo è stato il ministro degli Esteri del regno-arcipelago, Sheikh Khaled bin Ahmed bin Mohammed al-Khalifa, bocciando così l’iniziativa dell’emiro kuwaitiano, Sabah al-Ahmad al-Sabah, che si era offerto di agevolare il dialogo tra l’opposizione sciita – da settimane in piazza – e la minoranza sunnita al potere. L’iniziativa era stata accolta con favore dal principale gruppo di opposizione del Paese, lo sciita Wefaq, e dal Consiglio di Cooperazione del Golfo. “Qualsiasi voce su una mediazione del Kuwait è totalmente falsa, ci sono stati sforzi precedenti che non hanno ricevuto alcuna risposta e che sono terminati con l’imposizione della legge marziale”, ha scritto su Twitter il ministro. Ieri il Consiglio di Cooperazione del Golfo, che riunisce Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati, aveva salutato con favore la mediazione, augurandosi che portasse nella direzione della “stabilità” e della sicurezza” del Bahrein. Il piccolo regno-arcipelago è scosso da forti proteste della maggioranza sciita, che rappresenta il 60 per cento della popolazione, contro la dinastia regnante sunnita dei Khalifa. All’inizio del mese il re ha dichiarato la legge marziale mentre gli alleati sunniti del Golfo, in primo luogo l’Arabia Saudita, hanno inviato truppe in Bahrein per reprimere la rivolta.

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