Vi ho raccontato qualche giorno fa, su questo blog, la vicenda dell’equiparazione dei diritti tra i congiunti delle vittime del dovere militare e quelli delle vittime del dovere “non militare”, per la quale mi sto battendo in prima persona. Vi ho confidato il mio cauto ottimismo sulla possibilità che questa proposta di legge vada in porto e che dunque i figli dei “non militari” si potranno arruolare per chiamata diretta, anche se più bassi della soglia attuale.

Con tutt’altro animo e tutt’altro spirito vi parlo ora di un’equiparazione che invece non s’ha da fare, ovvero quella tra i diritti e i benefici dei familiari delle vittime del terrorismo con quelli dei caduti nella lotta contro la criminalità organizzata. Perchè molti di voi pensano che da morti, quelli che vengono celebrati oggi come eroi, antimafia o antiterrorismo, siano tutti uguali. Che chi ha combattuto le Br abbia pari dignità di chi ha messo in ginocchio cosa nostra. Purtroppo no. Nonostante cosa nostra sia stata anche un’associazione criminale a tratti eversiva e terrorista, oggi i familiari dei caduti per mano mafiosa non beneficiano degli stessi diritti degli orfani e delle vedove delle vittime del terrorismo. E questo, oltre che ingiusto, è molto triste.

Nel 2007, stanchi di promesse e di parole al vento, umiliati dal corso del tempo e dall’immobilità dello Stato, io e i futuri membri dell’associazione nazionale Familiari Vittime di Mafia che di li a poco nascerà e che oggi ho l’onore di presiedere, ci siamo dovuti incatenare ai cancelli della Prefettura di Palermo per chiedere a gran voce l’equiparazione dei diritti, che ad oggi rimangono assolutamente sbilanciati in favore delle vittime del terrorismo. Per puro esempio cito l’assistenza psicologica a carico dello Stato e l’aumento figurativo di dieci anni di versamenti contributivi utili ad aumentare, per una pari durata, l’anzianità pensionistica maturata. Noi, familiari delle vittime di mafia, non ne beneficiamo. E ci tocca pure specificare che non ce l’abbiamo certamente con i familiari delle vittime del terrorismo, perchè se non mettiamo i puntini sulle “i”, le polemiche diventano roventi.

Nel 2008 il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano aveva ricevuto una delegazione della nostra associazione promettendo l’istituzione di un tavolo tecnico in merito a questa scandalosa disparità. Da quel giorno non abbiamo più avuto notizie di alcun genere e non siamo mai stati invitati ad alcun tavolo tecnico.

Nel 2009 la quinta Commissione bilancio del Senato ha respinto un emendamento, presentato dai senatori dell’Idv, per l’equiparazione dei benefici per i familiari delle vittime di mafia e del dovere a quelle del terrorismo, ribadendo dunque che permane una differenziazione: ci sono i morti di serie A e quelli di serie B, C e ancora più giù, i retrocessi.

E ora che il 2010 è arrivato agli sgoccioli e niente si muove, noi familiari delle vittime di mafia ci prepariamo nuovamente a scendere in piazza, a marciare e ad “incatenarci” e a mettere in atto proteste estreme, se sarà necessario, per i nostri diritti che nessuno può concederci come se fossero privilegi; noi, quei diritti, li vogliamo semplicemente perchè sono nostri, perchè ci spettano e non li possiamo elemosinare a chicchessia, né allo Stato, né ai ministeri. E troveremo anche la forza di sopportare, nuovamente, anche chi ci accuserà di “fare caciara perchè vogliono i soldi”. Chi ha perso una persona cara in una guerra che consapevolmente combatteva ad armi impari, quella contro cosa nostra, dà un valore molto relativo ai risarcimenti in denaro. Perchè sa bene che tutti i soldi di questo mondo avranno l’odore del sangue, della mancanza eterna, e che se possibile faranno sentire ulteriormente in colpa. Quei soldi avranno l’aspetto di una pezza su un’emorragia. Alcuni dei nostri familiari hanno anche rinunciato a qualsiasi risarcimento per lo sdegno di ricevere soldi da uno Stato indifferente e a volte colluso, ma ai diritti no, a quelli no. Quello che può restituire serenità è la consacrazione di un diritto, la certificazione che la guerra contro il terrorismo non fu più importante di quella, tutt’ora in corso, contro cosa nostra, che ha portato oltre novecento famiglie a perdere uno o più congiunti.

E dicano, dunque, che vogliamo soldi, beni e risarcimenti. Dicano quello che vogliono. Ma equiparino subito i nostri diritti alle vittime del terrorismo. Solo allora assaporeremo il senso di giustizia, solo allora la nostra sete di dignità sarà appagata. E le grandi associazioni antimafia tornino pure a dire che siamo estremi, scomposti, aggressivi e politicamente scorretti: ci risulta troppo difficile abituarci a chiedere “per favore” e sotto voce dei diritti che non appartengono solo a noi ma anche ai nostri familiari che oggi non ci sono più.

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