Palamara candidato: in Italia la parola “etica” è fuori moda

20 Agosto 2021

Noi non sappiamo se l’ex magistrato Luca Palamara sia colpevole dei reati che gli vengono contestati. A dircelo saranno i giudici. Sappiamo però che Palamara è a lungo stato, per sua stessa ammissione, una pedina fondamentale del sistema malato delle correnti tra le toghe. I suoi comportamenti, e quelli di alcuni suoi colleghi, hanno minato la fiducia dei cittadini nella giustizia e hanno dato fiato alle trombe non di chi correttamente si batte per avere finalmente processi celeri e giusti, ma dei molti mascalzoni che popolano la nostra politica e le nostre classi dirigenti.

Le sue confessioni che tanto hanno scandalizzato l’opinione pubblica non sono frutto di un pentimento o della volontà di scardinare un sistema di potere. Sono invece arrivate quando l’ex presidente della Anm, finito sotto inchiesta, ha dovuto difendersi davanti alla Procura di Perugia. È stato solo allora che Palamara ha parlato denunciando il sistema di cui lui aveva per tanti anni beneficiato.

Per questo ora che lo vediamo candidato in Parlamento alle elezioni suppletive di ottobre in un collegio di Roma non possiamo fare a meno di ricordare una frase di Publio Cornelio Tacito: “Il crimine quando scoperto non ha altro rifugio che nella sfrontatezza”.

Nessuna legge può ovviamente impedire a un imputato di entrare nell’agone elettorale. Palamara come ogni altro cittadino è innocente fino a sentenza definitiva. Ma se realmente, come sostiene, ora partecipa al dibattito pubblico per cambiare in meglio le tante cose che non vanno nella magistratura italiana, non la legge, ma la decenza avrebbe dovuto spingerlo a non avanzare la candidatura.

E i partiti, di qualunque colore essi siano, avrebbero dovuto fare muro presentando nel suo collegio personaggi notoriamente integerrimi. Invece siamo costretti ad assistere all’ennesimo triste spettacolo.

Cinque stelle e Pd, uno contro l’altro armati nelle amministrative della Capitale, non danno segni di vita e ancora non avanzano dei nomi. Nel centrodestra addirittura su Palamara si dibatte. O perlomeno si è dibattuto, visto che non più di quattro giorni fa Alfredo Becchetti, responsabile della Lega a Roma, ha dichiarato: “Quella del magistrato è una candidatura cui guardiamo con attenzione, che avrebbe un valore politico nazionale: sarebbe il simbolo di una battaglia giusta, quella per la riforma della giustizia, cui l’elettorato dell’intero centrodestra è interessato. La competenza è del tavolo della coalizione. Ma se la coalizione scegliesse Palamara, mettiamola così, non ci opporremmo di certo. Anzi…”.

Poi si sono messi di traverso Fratelli d’Italia e Forza Italia e l’ipotesi è rientrata. Anche perché il forzista romano Maurizio Gasparri, per una volta, ha preso una posizione che in parte condividiamo: “Per carità racconta cose interessanti, ma è pur sempre un pentito. È come se candidassimo Buscetta. La politica non può diventare la discarica del fallimento in altri settori”.

Nessuno però tra chi si è opposto ha sentito il bisogno di sollevare il vero punto: Palamara non dovrebbe essere sostenuto nella sua corsa elettorale per una questione di carattere semplicemente etico. Qui non si tratta di pretendere una (ingiusta) gogna per chi ha sbagliato, ma se si hanno a cuore l’integrità e la reputazione delle istituzioni si tratta di non accettare l’idea che il Parlamento venga infangato dalla presenza di chi con i suoi comportamenti ha già infangato un altro potere dello Stato: quello giudiziario. In Italia però la parola etica non va più di moda. E così ora Palamara può davvero sperare di essere eletto.

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