L’intervista - Gabriele Muccino

Gabriele Muccino: “Il mio ‘Ultimo bacio’ che mandò in crisi le coppie”

Il regista del film che 18 anni fa ha “segnato un’epoca prima dell’11 settembre. Dopo, siamo diventati tutti più cupi”

7 Aprile 2019

Accorsi, Mezzogiorno, Stella, Favino, Santamaria, Impacciatore, Pasotti, Orioli, Cocci. Vanno letti tutti d’un fiato, come uno scioglilingua, come una formazione di calcio, magari la Grande Inter, quella di Sarti, Burgnich, Facchetti, Tagnin… “Allenatore” Gabriele Muccino.

Sono passati 18 anni da L’ultimo bacio, uno dei pochi film degli ultimi decenni nel firmamento delle pellicole generazionali, dove c’è un prima e un dopo, sia per chi lo ha visto (“Ancora oggi mi fermano per dirmi: ‘A causa sua mi sono lasciato’”, parola di Muccino) sia per chi era su quel set, con un nucleo di giovani attori che visti oggi, tutti insieme, appaiono un dream team.

Dal 2001 sono nati i “mucciniani”, come disse il poeta Zeichen.
Da subito il pubblico si divise in due fazioni mentali: chi si riconosceva in qualcuno dei personaggi e chi cercava di rifiutare quel ritratto; e tutto ciò divenne un detonatore.

Ha mandato in crisi le coppie.
In particolare nei primi sei mesi se ne discuteva molto, in tantissimi si lasciarono, e molti dei miei amici iniziarono a litigare.

Così tanti?
Sì, a volte quasi mi imbarazzavo nell’ascoltare certe storie. E non mi domandi a chi mi riferisco, non farò mai alcun nome, sono episodi della sfera privata e vanno rispettati.

Momento antropologico.
Esatto, e quel film va inquadrato storicamente: è l’ultimo successo prima del’11 settembre 2001, e il dato non è irrilevante.

Perché?
Il mio successivo, Ricordati di me, girato dopo quella tragedia, ha uno sguardo diverso rispetto al futuro, una prospettiva temporale molto ridotta.

Mentre “L’ultimo bacio”?
Il futuro era illimitato, il mondo era pacificato, le crisi finanziarie lontane; è stata l’ultima fase nella quale proiettavamo dentro noi stessi la sfera del Novecento.

Poi nulla è stato come prima.
Il mondo si è inscurito, ed è iniziato quel rewind di cui oggi vediamo in maniera plastica gli effetti (ci pensa). Sì, L’ultimo bacio ha segnato la fine di un’epoca.

Quindi ancora la fermano?
Persone che non conosco, e sentono il bisogno di condividere cosa è accaduto dopo la fine del film.

Illuminante.
Finito il film in molti scoprirono una visione così diametralmente opposta, da finire in discussioni dolorose.

Il personaggio di Martina Stella, la 18enne che manda in crisi l’uomo sposato, è oramai nella cultura popolare.
Perché è un punto nodale della vita che prima o poi tocca tutti, o quasi tutti; è come il vento e la tempesta e noi siamo lì, suscettibili alle intemperie.

Impossibile ripararsi.
L’istinto a procreare è più forte della monogamia.

E per lei?
Non ne sono escluso.

Allora aveva 32 anni.
E vivevo il destino del film mentre diventavo per la prima volta padre, per questo riflettevo su quanto stava accadendo..

E ha scritto “L’ultimo bacio”.
Con dei grandissimi “però”: non credevo che la mia condizione, la mia riflessione, le mie sensazioni fossero un nervo scoperto per la società; attraverso una visione personale, non autobiografica, ho inquadrato un sentir comune.

Sostiene Favino: “Con ‘L’ultimo bacio’ ero in fondo al gruppo; grazie a ‘Baciami ancora’ ho capito il mio salto di qualità”.
Ha ragione, è vero, è andata esattamente come racconta; ma quel set è servito a un importante gruppo di attori per definire la propria carriera, ed è stata per tutti un’esperienza non facile.

Addirittura.
Sono stati travolti da uno tsunami emotivo indimenticabile, hanno rischiato di venir schiacciati dal ruolo.

Anche lei?
Certo, e in assoluto mi sono salvato grazie all’esperienza di Hollywood, altrimenti c’era il pericolo di venir cooptato dalla ripetitività.

Minaccia così forte?
Per questo ho immediatamente iniziato a lavorare su Ricordati di me, film arrivato anni prima del Bunga Bunga di Berlusconi.

Prima parlava degli Stati Uniti…
Will Smith e La ricerca della felicità sono la chiave: mi hanno sdoganato.

Sempre Favino: “Gabriele è un talento enorme che andrebbe tutelato”.
Picchio può dire parecchio di me e non voglio lamentarmi, non voglio apparire vittimista e piagnone…

Qui c’è un altro “però”…
So di valere più di quello che i critici dicono.

È attaccato?
Mi rompono continuamente i coglioni, e non so il perché.

Quest’anno ha preso il David per il “botteghino”.
Aver ottenuto candidature minori con A casa tutti bene, fa un po’ sorridere, quando sono uno dei pochi registi italiani conosciuto nel mondo, e credo di essere bravo.

Non basta…
Infatti vengo oscurato, non esisto, e non solo io, penso a chi lavora con me: le scene di Ischia, con il mare in tempesta, sono state realizzate in studio, con effetti speciali pazzeschi; oltre al talento strabordante dimostrato dagli attori: neanche in questo caso li hanno presi in considerazione.

In generale, di cosa ha paura?
Di ripetermi o fermarmi.

Pasotti su di lei: “Gabriele è ambizioso, intelligente e determinato”.
Anche lui mi conosce bene, era tra gli attori del mio primo film (Ecco fatto); una pellicola costruita con quattro lire, quasi autarchica.

Altro che budget a Stelle e Strisce.
Dagli statunitensi ho imparato molto, e non solo sul set, mi riferisco a come si produce, si distribuisce. Al marketing. Tutti meccanismi fondamentali per l’industria, e che erroneamente si sottovalutano.

Gli attori con lei.
Se penso a quelli con cui ho lavorato, quasi mi impressiono.

Parterre de rois.
Uma Thurman, Russel Crowe, Jessica Biel, Catherine Zeta Jones, Amanda Seyfried… Quasi sempre, e sottolineo quasi, si crea un grosso afflato, e non posso comunicare solo con la parola, ho bisogno di avvolgerli.

Will Smith racconta che è molto fisico.
Li devo abbracciare, coccolare, rassicurare. In quelle settimane di girato, a seconda dei casi, divento una sorta di padre, amico o fratello; questo è il mio modo di affrontare la loro predisposizione alla recitazione.

Negli Stati Uniti non sono abituati.
Alcuni mi prendono per matto.

Appunto.
Che devo fare? È la mia affettività, e non sono sempre sorrisi, baci e carezze: mi incazzo pure! Ricordo benissimo le prime scene girate con Will, non un granché, bravo tecnicamente, ma poco se stesso. Abbiamo lavorato a lungo.

Quindi coccola l’atavica fragilità dell’attore.
Sono perennemente esposti al giudizio, per questo sono insicuri, a volte problematici, e con velature inaspettate; con gli attori bisogna essere in grado di capire anche la sfumatura del sottinteso per poi estrarre quell’unicum che è dentro di loro.

È un leader?
Credo proprio di sì.

Come sceglie gli attori?
Provini e ancora provini, a volte incrociati, voglio capire le alchimie; per A casa tutti bene è stato un massacro, e parlo di due, tre, quattro selezioni.

Torniamo a “L’ultimo bacio”: chi l’ha stupita di quella generazione?
Detesto fare nomi.

Uno.
Sabrina Impacciatore: è una grande, potentissima, ma sottovalutata.

Favino e la sua rivincita?
Sì, è proprio vero. Lui ha un rigore molto forte, è disciplinato a livelli maniacali, e questo atteggiamento arriva dal timore di non essere abbastanza incisivo, al contrario possiede un talento eccezionale.

Quanto conta la disciplina?
È una delle chiavi più importanti. Gli attori statunitensi, e parliamo dei big, sono ferrei. Russell Crowe o Tom Cruise pensano solamente al lavoro, studiano e studiano, coinvolgono dei coach, si prestano a esercizi bestiali. Questo è professionismo.

Tempo fa ha definito Pasolini un “regista dilettante”. E giù attacchi.
Mi sono un po’ pentito.

Nel contenuto o nella forma?
Ho sbagliato nell’esprimere su Facebook un pensiero del genere, ho sottovalutato il potenziale; i social sono perfetti per venir equivocati, e parti sempre perdente.

Con “L’ultimo bacio” ha vinto 5 David.
Ed era un’annata pazzesca, una sorta di Rinascimento del cinema italiano con I cento passi e Moretti tra i competitor.

Aristocrazia.
Uno si sentiva parte di una rivoluzione, si litigava sui film, nascevano schieramenti tra chi tifava Muccino e chi Moretti…

Poi cosa è successo?
Sono andato negli Stati Uniti, quando sono tornato (dopo 12 anni) era tutto raso al suolo: non ho più trovato il cinema che parlava al pubblico, ma una serie di storie uguali, con sempre lo stesso cast.

E problemi di botteghino.
I registi importanti ci sono, qualcosa nel breve accadrà, anche per l’arrivo di queste nuove piattaforme che solleciteranno differenti contenuti.

Nel frattempo ha 51 anni.
E mi domando cosa riuscirò a realizzare di meglio.

Ha visto cose che noi umani…
È così, ho vissuto realmente molte vite, che oggi fanno parte della mia conoscenza empirica.

È pronto ad abbracciare ancora.
Non posso farne a meno.

Un altro dream team.
So già chi coinvolgere. Vedrete.

Alla faccia della critica.
Forse non è chiaro, quando ho girato L’ultimo bacio avevo appena 32 anni, e poi qualcosa è successo…

Twitter: @A_Ferrucci

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