Varese

Bossi ricoverato, in ospedale solo Giorgetti e Fontana. Leoni: “Lasciato solo? Per gli amici dell’Umberto c’è la scomunica”

Potere e politica - La solitudine del Senatur

17 Febbraio 2019

“La politica va così, per gli amici dell’Umberto oggi c’è la scomunica”. Umberto è lui, Bossi, ricoverato all’ospedale di Circolo di Varese a causa di un malore che lo ha colto nel pomeriggio di giovedì nella sua casa di Gemonio. Se non fosse per gli articoli di giornale e il piantone all’ingresso, la sua vicenda si confonderebbe con quelle delle decine di degenti che ogni giorno fanno dentro e fuori dai reparti. Per il vecchio capo solo pochi nostalgici e una manciata di colonnelli decaduti si prodigano in messaggi di vicinanza. “Umberto è forte, è qui per una caduta in casa”, si affretta a chiarire Francesco Enrico Speroni, figura della vecchia Lega, con il Nord nel nome e nel cuore. Niente a che vedere con quello che era capitato nel 2004: “Per fortuna non sono state riscontrate lesioni al cervello”, ha raccontato mentre venerdì pomeriggio lasciava il reparto di rianimazione dove ha incontrato la moglie e i figli del Senatur.

Poco prima era arrivato Giancarlo Giorgetti, entrato dalla porta principale, uscito dal retro. Oltre al sottosegretario s’è fatto vedere solo il governatore Attilio Fontana. L’elenco termina qui, nessuna sfilata di volti noti. Qualche messaggio di sostegno, un paio di comunicati, roba di circostanza: “Ho parlato con la moglie – dice ancora Speroni – mi ha detto che hanno scritto tutti, privatamente, anche Salvini. Del resto i medici dicono di non disturbarlo”.

La sostanza è che Matteo Salvini, impegnato nella campagna elettorale in Sardegna, non ha voluto “inquinare” la sua bacheca Facebook con un messaggio pubblico dedicato al fondatore del Carroccio e nessuno dei luogotenenti ha fatto capolino. “Sono uomini. È normale. Hanno paura di finire sulla lista nera”. Parola di Giuseppe Leoni, al fianco di Bossi fin dai tempi delle Lega autonomista lombarda e primo deputato leghista nel 1987. E lui la “scomunica” la sta scontando da tempo: “Per me un amico è un amico sempre, anche quando le cose si mettono male”. Poi mette le mani avanti: “Bisogna dare atto a Salvini che ha saputo portare il partito a un livello mai raggiunto. Purtroppo adesso che abbiamo i numeri non si fanno le riforme che volevamo”. E, continua: “Nel partito c’è gente che andava all’asilo quando noi facevamo la rivoluzione. Gente che si metteva le mutande verdi e ora non ricorda nemmeno il colore. Avevo una nonna saggia che mi diceva sempre ‘se vuoi la riconoscenza, devi comperare un cane’. Aveva ragione lei”.

Umberto Bossi, per la sua eredità politica, gli eccessi personali e i guai giudiziari, non è certo un fardello facile da portare per la Lega a trazione salviniana. Sarà per questo che da quando è caduto in disgrazia è sempre stato tenuto ai margini del partito. Un padre tutt’altro che nobile, uno di cui meno si parla, meglio è. Mica che ci si ricordi dei 49 milioni scomparsi e di tutte quelle storiacce che hanno insozzato il partito in cui è cresciuta l’attuale classe dirigente. La canottiera, il sigaro, le ampolle e tutto il bagaglio dell’epopea bossiana appartengono ormai a un passato lontano. Bossi è incompatibile con la nuova Lega: è quello che odia i terroni. Quello che ha fatto gli inciuci con Berlusconi. Quello dei diamanti in Tanzania. Bossi è il parente scomodo da tenere fuori dalla porta.

“Son sempre andato a trovarlo alla Vigilia di Natale, per gli auguri – racconta Leoni con una vena di amarezza nella voce –. C’erano anni in cui non riuscivi a entrare in casa per i regali e le persone che c’erano davanti alla porta. Negli ultimi tempi però siamo solo in due. Io e lui. L’ultima volta ci sono andato per l’Epifania. Era provato, pensieroso per la questione del processo di Milano. Anche i figli erano preoccupati. I magistrati non scherzano. Se vai in mano a quella gente lì non sai mai come va a finire. Poi è giusto che se qualcuno ha sbagliato paghi”.

A ricordareche all’ospedale di Varese è ricoverato uno dei protagonisti della politica degli ultimi trent’anni, ci sono i cronisti. Telecamere, taccuini, microfoni. Uno dei pochi volti da inquadrare è quello di Giuliano Burtini. Bicicletta e bandana verde in testa. Ha portato i cimeli della vecchia Lega. Sfodera una maglietta col volto di Bossi e la scritta 100% Varesòtt: “Questa è originale! Avrà più di 20 anni”. È di un verde un po’ slavato, consumata da sole e sudore. Il leghista 1.0 mostra anche la patacca della Guardia nazionale padana (altra epoca, altre divise): “È quella delle camicie verdi. Bei tempi quelli. Andavo a Pontida in bicicletta e per strada tutti mi salutavano, suonavano il clacson. Una festa continua. Non ho smesso di andarci, ma non c’è più l’entusiasmo di quando avevamo la speranza che qualcosa potesse cambiare”.

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