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Gasdotto della discordia Tap, quel che c’è da sapere

Gas - I lavori in corso sulle grandi opere

Di Virginia Della Sala
1 Agosto 2018

“Il governo ora lo vuole, perché lo considera strategico per diversificare le fonti di approvvigionamento di gas per l’Italia e l’Europa: “Tap contribuirà alla diversificazione energetica – ha detto lunedì in conferenza stampa a Washington il premier Giuseppe Conte, cercando di confortare il presidente Usa Donald Trump e tenendo la stessa linea del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Baku. Si è anche ricordato dell’opposizione della popolazione e ha promesso dialogo e ascolto. Intanto, l’opera avanza. Mancano le autorizzazioni per il tratto sottomarino e il ministero dell’Ambiente ha chiesto approfondimenti sulla presenza di una specie di alga protetta. L’obiettivo è lo spostamento dell’approdo, il blocco dell’opera è escluso. Ma qual è la situazione di Tap?

L’opera. Tap, Trans Adriatic Pipeline, è il gasdotto trans-adriatico lungo 878 chilometri che contribuisce a portare il gas dall’Azerbaigian all’Europa, passando per l’Italia e per l’approdo di San Foca, a Melendugno in provincia di Lecce. Non è ben visto dai comitati e dai cittadini pugliesi, né dal sindaco di Melendugno o dal governatore della Puglia Michele Emiliano. Lo stop al Tap era stato un cavallo di battaglia del Movimento Cinque Stelle. È stato dichiarato “opera di carattere strategico e di preminente interesse nazionale” con lo Sblocca Italia, ed è vincolato a un accordo internazionale con Grecia e Albania dove l’opera è già all’85%. Tra Grecia e Turchia, Tap si collega al gasdotto trans anatolico (Tanap), che a sua volta porta gas naturale dal Mar Caspio. È considerato un progetto d’interesse comune per l’Ue e fa parte del Corridoio Mediterraneo del Gas, che riunisce tutti gli altri impianti strategici: 4mila chilometri per i quali sono stati stanziati 45 miliardi di euro. In Italia, il gasdotto prevede 25 chilometri di tubi offshore e 8 sulla terraferma. Il punto di approdo è la spiaggia di San Foca (Lecce) mentre nell’entroterra sarà realizzato il Prt, il terminale di ricevimento, che immette il gas nella rete nazionale di Snam, circa 50 chilometri tra Melendugno e Mesagne autorizzati ad aprile dal consiglio dei Ministri, e poi in quelle oltre confine. Oltre a Snam, entrata in corso d’opera come unica italiana a fine 2015, nel consorzio Tap ci sono British Petroleum, l’azera Socar, i belgi di Fluxys e gli spagnoli di Enagás. Si tratta di un’opera ‘benedetta’ da Ue e Usa in funzione anti-Russia. A lavorare sui giacimenti di gas c’è però anche il gigante russo Lukoil con il 10%.

Opere italiane. I lavori procedono spediti. La settimana scorsa è stato concluso il pozzo di spinta che permette di calare la talpa che dovrà scavare il microtunnel sulla spiaggia di San Foca. I lavori italiani sono divisi in tre opere, legate a tre diversi contratti. La prima è il terminale di ricezione, che dista 8 chilometri dalla costa. Le verifiche di ottemperanza ante opera sono già state approvate dal ministero dell’Ambiente, dalla sismicità al monitoraggio delle emissioni inquinanti. La seconda riguarda i tubi a terra e a mare, nonché il collaudo idraulico. A giugno Tap ha chiesto al comitato Via (Valutazione di Impatto Ambientale) di separare le verifiche di ottemperanza per mare e terra. Al momento, infatti, mancano quelle legate alla parte sottomarina. La terza parte riguarda il microtunnel e la condotta a mare: anche per questa fase le verifiche sono state soddisfatte. L’affaccio del microtunnel a mare è stato infatti esonerato – sempre dal ministero dell’Ambiente – dalla Via dopo la verifica dell’assoggettabilità, seppur con qualche prescrizione.

Inchieste. In questo momento, però, Tap è sotto indagine per due questioni: la prima riguarda il terminale di ricezione, la seconda gli ulivi che vengono espiantati. A gennaio, la Procura di Lecce ha chiesto e ottenuto dal gip la riapertura di un pezzo dell’inchiesta archiviata nel febbraio 2017, dopo un esposto da parte di otto sindaci del Salento. Si chiedeva di considerare gli 8 chilometri di gasdotto e i 55 del tratto di interconnessione Melendugno – Mesagne come un’unica opera da valutare e quindi autorizzare. La separazione, infatti, avrebbe fatto sì che al tratto Tap non venisse applicata la legge Seveso (che prevede ulteriori vincoli ambientali). La seconda questione riguarda invece il sequestro, a fini probatori, del cluster 5 (zona in cui ci sono oltre 500 ulivi) dopo l’esposto di alcuni parlamentari del M5s per presunte violazioni di norme paesaggistiche. Lunedì Tap ha presentato istanza di dissequestro.

La manovra. Mancano insomma le verifiche di ottemperanza (almeno 7) per la parte sottomarina. Autorizzazioni che dovranno essere rilasciate dal ministero o dalle agenzie ambientali. Intanto, il ministero ha chiesto verifiche agli uffici tecnici sulla presenza della cymodocea, che è una specie di pianta acquatica protetta che potrebbe anche influenzare l ’evoluzione dell’opera. Negli anni, le proteste si sono concentrate soprattutto sull’area dell’approdo: il gasdotto arriva in una zona incontaminata, in quella che viene considerata una delle spiagge più belle della Puglia, contro il parere della Regione che ha sempre puntato allo spostamento nella zona del brindisino. Oggi, spostare l’approdo implicherebbe un ritardo tra i due e i tre anni.

Si può Bloccare? Di sicuro, bloccare la realizzazione del Tap è molto difficile. Anche se non prevede penali, visto che non è un’opera pubblica, c’è il rischio di una richiesta di danni da parte dell’azienda per aver creato un’aspettativa economica (ci sono acquirenti che hanno già comprato il gas per i prossimi 25 anni). Inoltre, esiste un accordo internazionale (ratificato dal Parlamento a dicembre del 2013) tra Italia, Grecia e Albania in cui gli Stati si sono impegnati non solo a non ostacolare l’opera ma anche a rimuovere tutti gli eventuali impedimenti alla sua realizzazione. Un accordo che – come recita l’articolo 11 – sottosta alla legge internazionale e ai principi dell’Energy Charter Treaty (il Trattato della Carta dell’energia da cui l’Italia è uscita dal 2016) e che potrebbe tradursi – dopo gli arbitrati – in un risarcimento da parte dello Stato, reo di aver fatto decadere l’accordo, per l’eventuale danno economico arrecato.

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