Basilicata

Centro Olio Eni, ai pm la lettera dell’ex direttore suicida: “L’Eni sa dei veleni dal 2012”

Viggiano - L’ex responsabile dell’impianto lucano, scomparso e poi trovato impiccato nel 2013: “I vertici hanno nascosto le fuoriuscite di greggio”

2 Novembre 2017

C’è una lettera testamento tra documenti acquisiti dalla Procura di Potenza che indaga sull’inquinamento del Centro olio (Cova) dell’Eni di Viggiano (Potenza). È di Gianluca Griffa ex responsabile dello stabilimento lucano, scomparso e poi trovato impiccato nell’agosto del 2013. Ma cosa dice questa lettera di così importante? Il contenuto, rivelato da La Nuova del Sud online e dal Quotidiano del Sud, scotta. Secondo quanto riportato dal quotidiano le fuoriuscite di greggio dai serbatoi del Cova sarebbero avvenute nel 2012 ma poi “per ordini superiori” – si legge – sarebbero state nascoste “per non fermare la produzione” fino a gennaio di quest’anno. Quindi, secondo la lettera, i vertici Eni sapevano dei pericolosi sversamenti di greggio già cinque anni fa.

All’inizio del 2017, come raccontato dal Fatto, si è verificata una fuoriuscita di greggio che ha portato Eni ad ammettere uno sversamento di 400 tonnellate tra agosto e novembre dello scorso anno. A metà aprile poi la Regione Basilicata ha deciso di chiudere il Cova per il mancato rispetto di alcune prescrizioni ambientali. Dopo tre mesi, il 18 luglio scorso, lo stabilimento è tornato a funzionare. Se il contenuto della lettera di Griffa dovesse trovare riscontro però, le fuoriuscite sarebbero avvenute già nel 2012.

La lettera dell’ingegnere 38enne di Montà d’Alba (Cuneo) era indirizzata ai carabinieri di Viggiano e agli ispettori di polizia mineraria (Unmig) del ministero dello Sviluppo economico. Sarebbe stata scritta poco prima del suicidio e potrebbe essere determinante per il proseguimento delle indagini.

I pm di Potenza che indagano sulle attività dell’Eni in Basilicata avevano disposto di sentire tutti i dipendenti del Cova per raccogliere informazioni sul loro stato di salute. Secondo il Quotidiano del Sud l’ingegnere Griffa si sarebbe suicidato perché non sarebbe riuscito a far “convergere l’azienda a più miti consigli” sulla gestione del Cova. Griffa era preoccupato dai livelli eccessivi di corrosione dei serbatoi dai quali sono poi avvenute le perdite ed era convinto che “se fosse emerso il problema all’esterno sarebbe stato considerato unico responsabile”.

Nella lettera Griffa descrive un incontro che sarebbe avvenuto nel febbraio del 2013 con altri dirigenti locali della compagnia petrolifera durante il quale gli sarebbe stato impedito di portare allo scoperto la situazione. Poi però aggiunge di essere riuscito in qualche occasione ad imporre ai tecnici di ridurre la portata dell impianto. Questi però non appena Griffa si assentava avrebbero ripristinato le impostazioni iniziali.

Le sue preoccupazioni gli sarebbero costate ferie forzate, rimozione dall’incarico e una convocazione nella sede di Milano il 22 luglio 2013. Ma quattro giorni dopo il giovane ingegnere piemontese fece perdere le sue tracce. Fu trovato impiccato in circostanze non del tutto chiare in un bosco di Montà d’Alba in provincia di Cuneo.

“La notizia riportata da La Nuova del Sud non può passare sotto silenzio soprattutto perché rappresenta l’ennesimo tassello che va a comporre un quadro drammatico e sconcertante”, ha detto il consigliere regionale del M5s, Gianni Leggieri. “Un quadro – aggiunge Leggieri – che getta ombre sempre più lunghe sulla gestione politico-amministrativa della vicenda petrolio nella nostra Regione e soprattutto desta non pochi legittimi sospetti sull’operato di questi anni di Eni”.

di A.Massari e M.Totaro

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