Conti correnti, Bankitalia agli istituti: restituite la “tassa Etruria”

Via Nazionale, sollecitata dalle associazioni dei risparmiatori, ha dichiarato illegittimi i rincari sui conti correnti per rifarsi dei contributi versati al Fondo nazionale di risoluzione. Da Banco Popolare a Unicredit e Ubi, i maggiori istituti hanno imposto aumenti ai clienti

3 Agosto 2017

Si sono rifatte sui clienti, ma ora la Banca d’Italia, su segnalazione delle associazioni dei risparmiatori, le ha fermate. Le banche dovranno restituire il maltolto e permettere a chi vuole cambiare istituto di poterlo fare senza penalità. La vicenda è questa: il salvataggio delle banche locali di Etruria, FerraraMarche e Chieti, mandate in bail in a fine 2015 è costato al sistema bancario 3,6 miliardi. È il denaro messo nel Fondo di risoluzione interbancario, previsto dalle norme europee. Il Fondo, che dovrebbe raggiungere in otto anni un attivo di 5,7 miliardi, dovrebbe essere finanziato con utili e riserve degli istituti di credito in attivo. Ma torna comodo, evidentemente, farlo pagare alla clientela. Alcuni istituti italiani gravati da questi extra costi, hanno pensato infatti di rifarsi sui costi dei conti correnti.

Vuol dire in pratica che ai salvataggi bancari oltre ad azionisti, obbligazionisti subordinati e contribuenti (tramite gli aiuti pubblici per Mps e banche venete) hanno partecipato anche i correntisti, con l’aumento delle spese. La gabella l’hanno messa istituti locali come la Popolare di Bari, che a partire dal primo aprile 2016, ha aumentato di 6 euro a trimestre le “spese per conteggio interessi e competenze”, ma anche colossi del credito come Ubi Banca, Banco Popolare (ora Banco Bpm), Unicredit e Deutsche Bank.

Ubi Banca ha previsto a fine 2016 un aumento di 12 euro annui per tutti i conti correnti; i correntisti del Banco Popolare hanno invece pagato una tantum, di 25 euro, contributo che graverà nella voce: “Spese fisse di liquidazione”. Unicredit a luglio 2016 aveva rincarato i costi di alcuni conti di 10-12 euro. Mentre Deutsche Bank, ha messo un aggravio una tantum di 24,32 euro il 30 giugno scorso. Tutte le banche hanno motivato l’aggravio con il contributo al Fondo di risoluzione unico per le crisi bancarie, considerandolo un intervento legislativo che costituisce “giustificato motivo per un aumento”.

Il problema è che senza “giustificato motivo” le norme bancarie vietano le modifiche unilaterali dei contratti. Ma visto che le banche di cui si parla sono tutte in attivo, che il prelievo sia “giustificato” è alquanto dubbio. Soprattutto considerando che i costi per i correntisti italiani sono già i più alti d’Europa: in media 253 euro l’anno, oltre il doppio rispetto alla media dell’Unione europa di 112.

Le associazioni dei consumatori, Movimento difesa del Cittadino e Altroconsumo hanno quindi pensato di presentare un esposto alla Banca d’Italia. “Tale aumento, oltre ad essere del tutto arbitrario rispetto alla quantificazione, non risultava assimilabile ad una modifica del contratto possibile all’art 118 del Testo unico bancario”, spiega Francesco Luongo, presidente del Movimento difesa del cittadino, “la motivazione è generica e non assimilabile al giustificato motivo richiesto dalla norma. La stessa Direttiva sul bail-in prevede il divieto di spalmare sulla generalità dei correntisti gli effetti della malagestione bancaria”.

Come esito delle denunce, la Banca d’Italia ha comunicato ieri alle associazioni di aver richiesto alle banche la restituzione delle somme, in quanto le modifiche unilaterali ai contratti sono vietate, tra l’altro, quando: “Realizzano interventi sulle tariffe, anche una tantum, a fronte di costi allo stesso tempo già sostenuti, non ricorrenti e che hanno già esaurito i loro effetti”.

“La Vigilanza di Banca d’Italia è stata chiara: i correntisti interessati da addebiti correlati ai soldi versati dalle banche al Fondo di Risoluzione hanno il diritto a vedersi restituire le somme”, conclude Luongo. Lo stesso trattamento è stato peraltro riservato da Bankitalia a Intesa Sanpaolo, che dal primo agosto scorso ha aumentato fino a 10 euro al mese i costi dei conti aperti prima del 2016 e con una giacenza media superiore a 2mila euro (sono circa il 30% del totale). In questo caso l’aumento è stato giustificato con la “riduzione dei tassi di mercato”, che rendono la liquidità lasciata sul conto un “costo” per la banca. Una giustificazione non accettata dalla Banca d’Italia, considerando che le giacenze sul conto non sono remunerate da Intesa Sanpaolo.

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