Fuori da Buckingham Palace e lontano dal castello di Windsor. Carlo III ha scelto l’abbazia di Westminster per parlare ai suoi sudditi in occasione del suo quarto Natale da re. Il sovrano continua a cercare la sua cifra per entrare nella storia e lasciare qualcosa di sé ai posteri e, prendendo le distanze dalla tradizione, ha deciso di registrare il suo discorso nella Lady Chapel dell’abbazia che lo ha visto incoronato dopo la morte di Elisabetta II. Il 2025 è stato l’anno degli incontri con due capi successivi della Chiesa cattolica, Papa Francesco I e poi Leone XIV. E’ stato l’anno del giubileo dei pellegrini della speranza che, lo scorso ottobre, ha riportato a Roma il capo della chiesa anglicana per riaprire un dialogo interrotto 500 anni fa da Enrico VIII che sancì il divorzio tra le fedi che oggi Carlo III vuole assolutamente ricucire.
In gennaio il sovrano aveva anche visitato Auschwitz, nell’anno dell’80esimo anniversario dalla fine della Seconda guerra mondiale e, tra Natale, fede e religione, la politica che sembra assente, in realtà è sempre sullo sfondo. A Westminster si celebra il Christmas Carol della principessa del Galles che, nel 2022, portò un grande messaggio di solidarietà nei confronti del popolo ucraino mettendo in scena le voci del St Mary’s Ukranian School Choir, composto da bambini rifugiati.
Il coro di Westminster canta anche la musica del paese martoriato dalla guerra e spesso ospita veglie di preghiera per la pace. Il quarto messaggio natalizio del re non potrà dunque fare a meno di ammiccare, sebbene in maniera molto indiretta, alle sue posizioni politiche e alla sua impronta così fortemente spirituale, continuando ad intrecciare la sua stessa storia con quella del suo regno. L’anno scorso era stata la malattia a determinare la decisione di dedicare il discorso a tutti gli operatori sociosanitari del paese allontanandosi, per la prima volta nella storia, dalla consueta ambientazione ingessata dietro al tavolo di una sala reale tra fiori, lampade e ritratti di famiglia. Allora la scelta ricadde sulla Fitzrovia Chapel, nell’ex ospedale Middlesex nel cuore di Londra, per un discorso arrivato ad un anno dall’annuncio della sua diagnosi di tumore contestualmente a quella ricevuta da Kate.
La monarchia per dodici mesi aveva mostrato tutto il suo coraggio nell’affrontare apertamente il tema della salute fragile dei reali, diventati “un numero” come tutti gli altri. Carlo III e dopo di lui la principessa del Galles, aveva abbracciato medici, pazienti ed infermieri per condividere una battaglia per la vita e dare sostegno a chi soffre, cercando di sviluppare una più forte cultura della diagnosi precoce, molto debole nel Regno Unito. Questo che va a concludersi sarà invece ricordato come l’anno degli scandali e del continuo tentativo del re e della famiglia che gli è rimasta accanto, di dare dignità ad una istituzione messa a dura prova dai comportamenti e dalle frequentazioni di Andrea Mountbatten-Windsor, al quale è stato tolto anche il titolo di principe e di Sarah Ferguson. Sistemato davanti alle telecamere della Bbc che ha registrato il suo discorso di Natale prima che partisse per Sandringham, un re anziano che ancora combatte contro il cancro e che qualche settimana fa ha voluto rassicurare i suoi sudditi sui progressi positivi delle sue cure, si è messo accanto alle spoglie del milite ignoto e alle tombe di quindici sovrani britannici. Tra questi figura anche Edoardo il Confessore, morto nel 1066 con l’arrivo dei normanni; un re che aveva vissuto come un monaco, un modello per ribadire il desiderio di Carlo III di essere ricordato come il protettore delle fedi. E del Natale della famiglia Windsor.
IL DISCORSO INTEGRALE DI RE CARLO
Qualche settimana fa, la Regina ed io abbiamo avuto il piacere di fare una visita di Stato in Vaticano, dove abbiamo pregato con Papa Leone in un momento storico di unità spirituale. Insieme abbiamo celebrato il tema del Giubileo “Pellegrini di speranza”. Il termine “pellegrinaggio” oggi è poco usato, ma ha un significato particolare per il nostro mondo moderno e, specialmente a Natale, significa viaggiare verso il futuro e allo stesso tempo tornare indietro per ricordare il passato e imparare dalle sue lezioni.
Lo abbiamo fatto durante l’estate, quando abbiamo celebrato l’80° anniversario del VE Day e del VJ Day. Con il passare degli anni, sempre meno persone ricordano la fine della Seconda guerra mondiale, ma il coraggio ed il sacrificio dei nostri militari e il modo in cui le comunità si sono unite di fronte a una sfida così grande, trasmettono un messaggio senza tempo per tutti noi. Questi sono i valori che hanno plasmato il nostro Paese e il Commonwealth.
Mentre sentiamo parlare di divisioni sia in patria che all’estero, quelli sono i valori che non dobbiamo mai perdere di vista. Ad esempio, è impossibile non rimanere profondamente commossi dall’età dei caduti, come ci ricordano le lapidi nei nostri cimiteri di guerra. I giovani che hanno combattuto e contribuito a salvarci dalla sconfitta in entrambe le guerre avevano spesso solo 18, 19 o 20 anni.
Il viaggio è un tema ricorrente nella storia del Natale. La sacra famiglia intraprese il viaggio verso Betlemme e arrivò senza una casa e senza un riparo adeguato.
I Re Magi hanno compiuto un pellegrinaggio dall’Oriente per adorare Cristo nella sua culla e i pastori hanno viaggiato dai campi alla città alla ricerca di Gesù, il Salvatore del mondo; in entrambi i casi hanno intrapreso il viaggio insieme ad altri ed hanno fatto affidamento sulla compagnia e sulla gentilezza degli altri. Attraverso le sfide fisiche e mentali hanno trovato una forza interiore e ancora oggi, in questi tempi di incertezza, questi modi di vivere sono apprezzati da tutte le grandi fedi e ci offrono una profonda fonte di speranza, di resilienza di fronte alle avversità, di pace attraverso il perdono, semplicemente conoscendo i nostri vicini e mostrando rispetto gli uni per gli altri, creando nuove amicizie.
Mentre il nostro mondo, infatti, sembra girare ancora più velocemente, il nostro viaggiare può fermarsi per calmare le nostre menti. Per dirlo con le parole di T. S. Eliot, nel punto fermo del mondo che gira, e permettere alle nostre anime di rinnovarsi. Così, con la grande diversità delle nostre comunità, possiamo trovare la forza per garantire che il bene trionfi sul male.
A me sembra che dobbiamo apprezzare i valori della compassione e della riconciliazione, nel modo in cui il nostro Signore ha vissuto ed è morto.
Quest’anno ho sentito tanti esempi di questo, sia qui che all’estero. Queste storie di coraggio che trionfa sulle avversità mi danno speranza, dai nostri venerabili veterani militari ai generosi operatori umanitari nelle zone di conflitto più pericolose di questo secolo, fino ai modi in cui individui e comunità dimostrano un coraggio spontaneo, mettendosi istintivamente in pericolo per difendere gli altri.
Quando incontro persone di fedi diverse trovo estremamente incoraggiante sentire quanto abbiamo in comune, un desiderio condiviso di pace ed un profondo rispetto per tutte le forme di vita. Se riusciamo a trovare il tempo, nel nostro viaggio attraverso la vita, per riflettere su queste virtù, possiamo tutti rendere il futuro più pieno di speranza.
Naturalmente, il pellegrinaggio più grande di tutti è il viaggio che celebriamo oggi, la storia di colui che è sceso dal cielo sulla terra, il cui rifugio era una stalla e che ha condiviso la sua vita con i poveri e i soli. Era un pellegrinaggio con uno scopo annunciato dagli angeli affinché ci fosse pace sulla Terra. Questa è una preghiera per la pace e la riconciliazione, per fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi, che risuonò nei campi vicino a Betlemme più di 2000 anni fa e ancora oggi risuona da lì e in tutto il mondo. E’ una preghiera per i nostri tempi ed anche per le nostre comunità, mentre percorriamo il cammino della nostra vita. Con queste parole e con tutto il cuore, auguro a tutti voi un Natale sereno e felice.