Architetto in Svizzera: “In Italia ci sentiamo più furbi, qui il rispetto delle regole è rigoroso. E chi sbaglia, paga”
Le case ci capitano, si scelgono, ci cambiano e si cambiano. La casa di Teodoro Rossolino fino al 2013 era a Caserta. Poi, proprio lui che le case le progetta, ha deciso di cambiare la propria. A 45 anni sceglie di spostarsi in Svizzera, a più di mille chilometri da quella di origine. “È iniziato così il mio secondo tempo: volevo trovare il mio posto nel mondo”, racconta con orgoglio. Quando parla, Teodoro affastella tante parole, corre tra i concetti e ricorda ogni dettaglio. Ha tanto da dire. Poi si ferma e si emoziona: “Dopo molti mesi mi hanno raggiunto mia moglie e mia figlia, che aveva solo un anno e mezzo. Non è stato facile stare lontano da loro”, racconta. Oggi in famiglia sono in quattro: “Il piccolino, Matteo, quando parla italiano ha l’accento francese. Fabiana invece non ha inflessioni. Ma il mio più grande orgoglio è essere riuscito a insegnare loro anche il dialetto napoletano”.
La famiglia Rossolino abita a Nyon. Oggi Teodoro lavora nell’amministrazione comunale come responsabile dell’urbanistica del privato e del pubblico e un giorno a settimana con un collega si dedica ad altri progetti in uno studio di architettura. Dal punto di vista professionale, spiega, la scelta di spostarsi si è rivelata quella giusta: “In Svizzera l’architetto ha un ruolo fondamentale nella costruzione. Si occupa anche dell’esecuzione dei lavori. A differenza dell’Italia, dove si fa la direzione lavori e l’ingegnere si occupa dei calcoli, qui il progetto viene depositato al comune già studiando i dettagli, inclusi gli aspetti termici e climatici”. Oggi, racconta, si sente più apprezzato e riconosciuto. “Qui c’è rispetto per tutti, aldilà del titolo. A nessuno interessa che tu sia dottore, architetto, professore, ed è facile che il figlio del chirurgo faccia il falegname e viceversa”.
Rispetto e riconoscimento dei meriti, secondo Teodoro, vanno di pari passo. “La meritocrazia è una componente fondamentale e c’è riconoscenza per il lavoro svolto. In Campania il mio lavoro era sminuito e non veniva pagato in modo soddisfacente, in Svizzera si viene apprezzati per quello che si è e per il potenziale che si può offrire”, sottolinea. A questo si aggiunge una generale fiducia per il prossimo: “A me inizialmente erano sembrati ingenui, naïf. In Italia forse ci sentiamo più furbi. Qui c’è molta fiducia nelle persone. Tuttavia, se si sbaglia, si paga”. Questa correttezza, questo equilibrio, si riflettono anche nei rapporti d’amicizia: “Si dice che gli svizzeri siano freddi, ma preferisco la loro ‘freddezza’ all’ipocrisia che ho riscontrato in alcune amicizie passate. Dopo un periodo iniziale in cui prendono le distanze per capire chi sei, sono molto aperti e leali”.
Le differenze culturali partono dall’infanzia e dalla scuola. L’educazione civica in Svizzera viene insegnata ai bambini fin da piccoli. “I miei figli da sempre ringraziano con la mano le auto che si fermano per far attraversare. Non gliel’ho insegnato io, l’hanno imparato dagli insegnanti”, racconta. “Il rispetto delle regole è molto rigoroso. Da me la segnaletica era considerata quasi un accessorio. I miei figli quando torniamo in Campania si stupiscono nel vedere rifiuti per terra o che tenga loro la mano quando attraversiamo: in Svizzera non è necessario”. Le scuole, secondo quanto ha potuto vedere Teodoro, contribuiscono molto a questo: “Gli istituti in cui vanno i miei bambini, ad esempio, collaborano con la polizia per far fare agli studenti i corsi di sicurezza”.
Eppure la sua terra gli manca: gli amici e la famiglia, il caos e il calore. “L’Italia è una terra di contraddizioni, di pregi e difetti. E noi siamo come lei: poliedrici e flessibili. Siamo come dei jolly, siamo versatili, e questo viene apprezzato anche all’estero”. Per questo torna ogni volta che può, anche con i figli. “Fabiana ama Napoli e sa tutte le imprecazioni locali. Ho portato anche i miei colleghi svizzeri, per loro le nostre città sono come frullatori, si sono divertiti. Giravamo in taxi e notavano che l’autista faceva un poco le marachelle… ‘Ma com’è? Questo sta passando con il rosso?’ ‘No, ma vedete – gli dicevo io – ‘da noi anche il rosso è relativo’”.
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