“A chi mi rivolgo? All’Italia e agli italiani. Ci siamo persi in uno scontro ideologico tra destra e sinistra e abbiamo perso di vista ciò che conta: il Paese è in difficoltà economica”. È da questa premessa che prende forma “Sveglia!”, l’ultimo libro di Pietro Senaldi, condirettore di “Libero”, scritto a quattro mani con il consulente d’impresa Giorgio Merli e pubblicato da Marsilio Editori. Il volume nasce con l’obiettivo, dichiarato dagli autori, di “esprimere il proprio punto di vista” partendo da una base di “dati oggettivi” e “un’osservazione quarantennale della realtà italiana”. Intervistato da Ilfattoquotidiano.it, Senaldi sostiene la necessità di “depoliticizzare e deideologizzare il ragionamento” per affrontare quella che, a suo giudizio, è una crisi economica giunta a un punto di non ritorno. Da qui l’appello a una “Sveglia!”, rivolta all’Italia e ai cittadini italiani, per uscire da una condizione che l’autore descrive nelle prime pagine del libro come una “inerzia collettiva”.
Secondo Senaldi, la manovra principale per risolvere la crisi sarebbe “aumentare il PIL” per “riattivare l’economia” e avere così i “soldi per la sanità e le pensioni”. Al contrario, nell’ottica del giornalista, la situazione economica italiana sarebbe rimasta bloccata in un limbo perché “da 30-40 anni viviamo a iniezioni da 80/100 miliardi di debito l’anno”, sottolinea Senaldi. Ed è per questo motivo, aggiunge, che “forse non è un caso che i nostri giovani migliori appena possono lasciano il Paese per guadagnare di più, lavorare meglio e avere più prospettive”.
Il primo elemento del libro che salta all’occhio è il titolo: “Sveglia!”. A chi vuole rivolgersi e da che cosa bisognerebbe svegliarsi?
“Mi rivolgo all’Italia e anche ai cittadini italiani. Secondo me, ci siamo persi in uno scontro ideologico tra destra e sinistra, tra buoni e cattivi, e abbiamo perso di vista ciò che conta, ovvero che il Paese è in difficoltà economica da decenni. Non affrontiamo la vita e la politica con un approccio pratico: il punto centrale è come far crescere il PIL, così che aumentino il benessere e i soldi che abbiamo a disposizione nel nostro welfare. Bisogna preoccuparsi di aumentare il PIL, poi la politica deciderà come ripartire. Noi siamo a crescita zero praticamente da quando c’è l’euro perché il resto della crescita è a debito nella misura di 80/100 miliardi l’anno. Se tu riattivi l’economia poi hai i soldi per la sanità e per le pensioni”.
Nell’incipit si parte dalla definizione di “popolo di sonnambuli inerti” data agli italiani dal CENSIS. Perché avete scelto di partire proprio da qui e voi che interpretazione date di questa definizione?
“Penso che l’Italia sia un Paese con molti problemi che non si dice e che sia vittima di ideologia. Abbiamo bisogno di depoliticizzare e deideologizzare il ragionamento per tornare al principio causa/effetto. Se vuoi migliorare il sistema ospedaliero italiano – che secondo me è migliore di altri tant’è vero che siamo il secondo Paese più longevo, pur essendo il quarantaduesimo più ricco al mondo – non devi decidere se dare il 5-6% di un 100, ma far sì che questo 100 diventi 150. L’Irlanda, ad esempio, destina alla sanità la metà della percentuale di PIL che destiniamo noi, ma più del doppio su ogni singolo irlandese. Per ogni italiano sono 2800/2900 euro l’anno, mentre per ogni irlandese sono 7000, questo avendo circa il 3% di PIL destinato alla Sanità. E perché? Perché deve aumentare la torta”.
Nel libro, lei e Merli analizzate venti miti che definite ‘da sfatare’. Qual è l’intento complessivo di questo lavoro?
“L’intento, come tutti quelli che scrivono un libro, è esprimere il proprio punto di vista. Noi lo facciamo sulla base di dati oggettivi, di un’osservazione quarantennale della realtà italiana e dell’esperienza di Merli. Il nostro punto di vista è che per stare meglio bisogna essere più ricchi. Noi invece vogliamo diventare più ricchi senza preoccuparci di come diventarlo. E alla fine puoi farlo solo in un modo: indebitandoti. Siccome da 30-40 anni viviamo a iniezioni da 80/100 miliardi di debito l’anno, forse alla fine non è un caso che i nostri giovani migliori, circa 600 mila negli ultimi anni, appena possono lasciano il Paese. Un ragazzo che si affaccia sul mondo del lavoro oggi parte con 100/120 mila euro di debito e noi gli diamo 1500 euro o 2000 euro nei casi migliori”
In un passaggio del libro lei scrive: “Chi lavora, chi guadagna, chi contribuisce al sistema, se può, se ne va”. Quali sono, secondo lei, le principali cause di questa fuga di cervelli e quale impatto prevede sull’economia italiana in prospettiva futura?
“Per guadagnare di più, lavorare meglio e avere più prospettive. E come si fa a guadagnare di più? Secondo me non aumentando per legge lo stipendio, come ha fatto il Giappone, che li ha aumentati del 5% e nel giro di pochi mesi l’inflazione si è mangiata quell’aumento. Oggi, il valore reale degli stipendi risulta inferiore dell’1,5%. Lo stipendio va aumentato se aumenta il valore aggiunto del lavoratore, quindi il valore dei beni e dei servizi che il lavoro crea. Spesso pensiamo che la gente ci paghi perché andiamo a lavoro, ma in realtà ci paga perché il nostro lavoro porta ricchezza all’azienda. In Italia, il lavoro di un italiano porta 70-80 euro di valore aggiunto, mentre altrove ne porta anche il doppio e quindi guadagnano di più”.
Nel testo sembra emergere la sensazione di trovarsi di fronte a una situazione da cui è difficile sfuggire. Tuttavia, nella sezione finale, lascia aperto uno spiraglio per delle contromisure. Come si può uscire da questa condizione di galleggiamento che lei descrive nel libro?
“Dobbiamo puntare sui pochi asset che abbiamo. Un piano economico si divide in breve, medio e lungo periodo. Nel breve periodo, si può far poco. Noi abbiamo un turismo con potenzialità enormi, ma la Spagna ha un incasso da questo settore che è più del doppio del nostro. Il turismo è un settore che potenzialmente può crescere di anno in anno anche dell’8-9%, un aumento che non si può verificare in altri settori come manifattura o agricoltura. Per farlo, però, devi puntare su un turismo di lusso per attrarre il capitale estero. In alcuni programmi televisivi si dice che sbagliamo a far pagare a un imprenditore arabo una suite 5 mila euro a notte. Ma se lui non lì paga per la suite non è che li distribuisce comunque, se li tiene per sé. Dobbiamo cominciare a far pagare agli altri i nostri asset.
Nel medio periodo dobbiamo concentrarci su una politica fiscale adeguata. Con quella che abbiamo applicato non solo non attiriamo nessuna grande impresa, ma le nostre aziende sono andate all’estero. Ora diciamo che la piccola impresa è bella, certo che lo è, ma è anche la sola che ci è rimasta. Le piccole aziende lavorano per le grandi aziende, che fanno circolare denaro e permettono di lavorare alle piccole, che invece oggi sono sempre più in difficoltà e hanno una capacità di investimento limitata. L’economia va avanti grazie a chi investe, che si arricchisce, e le grandi aziende devono essere in grado di fare investimenti.
Nel lungo periodo, invece, bisogna sviluppare i servizi, che hanno un’alta resa e non soffrono della concorrenza di cui soffrono altri settori come la manifattura. Ad esempio, se prendo un tram in Italia, non mi interessa se in Cina costa meno, perché io devo spostarmi in Italia. I servizi ti permettono di vincere le regole spietate della globalizzazione. Nel digitale, però, noi siamo un po’ indietro. Tutto avviene con un circolo virtuoso. Oggi la politica di destra e sinistra è prigioniera di se stessa perché fa promesse e gli italiani sono drogati di promesse. Bisogna comincia a raccontare alla gente la realtà delle cose”.