Nato nel 1313 quasi certamente a Firenze da Boccaccio di Chellino e da madre ignota di Certaldo (vicino Firenze), Giovanni Boccaccio è stato uno scrittore e poeta italiano, tra le figure più importanti e influenti nell’Europa del XIV secolo, di cui oggi – il 21 dicembre – ricorre il 650esimo anniversario della morte.
Cresciuto a Firenze, probabilmente Giovanni deve proprio alla matrigna – Margherita de’ Mardoli, imparentata con i Portinari (la famiglia di Beatrice) – la conoscenza e i primi studi su Dante Alighieri, che tra l’altro Boccaccio non incontrò mai: “Non ci sono evidenze che questo sia mai avvenuto” dice Giovanna Frosini, punto di riferimento per la figura del letterato di Certaldo, presidente dell’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio e docente di Storia della lingua italiana all’Università per Stranieri di Siena. “Anche perché – aggiunge la studiosa – quando Boccaccio nacque, Dante era già in esilio, condannato a morte. Però io ritengo che il primo sia stato un alunno fedelissimo del secondo, cioè un uomo che ha amato Dante a tutti i livelli, che ha considerato il Sommo Poeta come il maestro che lo ha avviato alla poesia. Senza contare che in Dante, Boccaccio vede l’artefice, il facitore della nuova lingua volgare da cui parte la nuova tradizione letteraria ‘in idioma fiorentino’. E fu il suo biografo, copista, commentatore e primo lettore pubblico della Commedia su incarico del Comune di Firenze“.
E a proposito della biografia, dopo averlo riconosciuto già grandicello, il padre spedì il 14enne Giovanni a Napoli per impratichirsi nell’arte del mercante, in quanto era agente di cambio per la ricca famiglia dei Bardi. Nella regale e cosmopolita città del golfo, il giovane Boccaccio entrò in contatto con la corte angioina e invece di imparar bene a far di conto, si innamorò della letteratura da autodidatta. Nel 1340 Giovanni fu richiamato frettolosamente a Firenze a causa di problemi economici della famiglia dovuti a investimenti sbagliati. Tentò fortuna prima a Ravenna e poi a Forlì, ma è proprio nel capoluogo toscano che nel 1348 Giovanni visse in prima persona il dramma della peste nera, che lo spinse a concepire, elaborare e poi comporre la sua opera più famosa, il Decamerone, completato probabilmente nel 1351. Gli anni che seguirono furono poi caratterizzati per Boccaccio da almeno due aspetti importanti: la profonda amicizia con Francesco Petrarca e l’impegno politico che non sempre gli fu favorevole.
“Boccaccio conobbe Petrarca – spiega la professoressa Frosini – prima attraverso i suoi libri e poi personalmente. Si trattò di un’amicizia che si protrasse per tutta la vita, fatta di scambi, anche di libri manoscritti, di ospitalità e di una nuova concezione di cultura, letteratura e poesia, in pratica la fondazione dell’umanesimo, non solo italiano, bensì europeo. Boccaccio considerò anche Petrarca un maestro, ma la loro fu anche un’amicizia personale vera a tal punto che quando il secondo morì, lasciò in eredità a Boccaccio una piccola somma di denaro affinché si comperasse una veste foderata di pelliccia ‘per ripararsi dal freddo nelle notti di studio’”.
Come era accaduto per Dante, anche Boccaccio ebbe incarichi politici di una certa rilevanza: “Fu consultato dal Comune di Firenze prima di affidare incarichi di imprese architettoniche – spiega la docente -, riconoscendogli una notevole esperienza in fatti d’arte, di vita sociale e di politica. In particolare fu ufficiale delle gabelle, cioè della riscossione delle tasse, e nel 1350 fu incaricato dal Comune, come risarcimento, di portare 10 fiorini alla figlia del Sommo Poeta, Antonia, che era suora a Ravenna”.
E la sua fortuna? Oltre al fatto di esser sopravvissuto alla “mortifera pestilenza” del 1348, che pure lo colpì duramente negli affetti, la sua vera fortuna fu la composizione del Decamerone “che fu amato, letto, copiato, commentato – dice Giovanna Frosini -. Petrarca stesso, grazie all’amicizia che lo legava a Boccaccio, tradusse in latino l’ultima meravigliosa novella, quella di Griselda, concedendole così una fortuna europea, perché nei secoli il Decamerone rappresentò un modello, anche per la narrativa straniera: basta pensare ai Canterbury tales di Chaucer. Poi c’è una grande fortuna come esempio linguistico, perché Pietro Bembo nel Cinquecento indica nella prosa della cornice del Decamerone l’elevato modello della prosa letteraria italiana. A ciò si aggiunge la fortuna lessicografica grazie agli accademici della Crusca che già nel 1612, anno del primo vocabolario italiano, utilizzano molto la prosa di Boccaccio, oltre a Dante e Petrarca, per i propri esempi. E in tempi più recenti, infine, c’è la fortuna cinematografica di Boccaccio: basta pensare al Decameron di Pier Paolo Pasolini. Senza contare che in tempi di Controriforma, l’opera di Boccaccio dovette subire una ‘rassettatura’, cioè una censura. Oggi noi riconosciamo nel Decamerone un’opera straordinaria, portatrice di un’idea di rifondazione della società dopo una grande terribile pandemia”. E se proprio ci vogliamo confrontare con oltre sei secoli e mezzo fa, noi un Boccaccio post-Covid non l’abbiamo avuto.
Boccaccio morì a 62 anni a Certaldo – 650 anni fa – e lì fu sepolto, al centro della navata della chiesa dei Santi Jacopo e Filippo. L’anniversario della morte è stata la base per celebrare il letterato con alcune mostre. A Palazzo Vecchio a Firenze fino al 6 gennaio resta l’esposizione Boccaccio politico per la città di Firenze che esplora la sua carriera di personaggio pubblico, mentre fino a martedì 23 nella sala della biblioteca dell’Accademia delle arti del disegno, in via Orsanmichele, è visibile la mostra I luoghi di Boccaccio nelle tavole di Massimo Tosi, con ritratti ideali dal Decameron di Elisa Puccioni. E se si vuole “incontrare” Boccaccio non resta che recarsi in via del Proconsolo 16r (angolo via Pandolfini), dove una volta vi era la sede della ricca Arte dei Giudici e notai. Qui oggi vi è un’enoteca – la Innocenti wines – al cui interno sono liberamente visibili affreschi del XIV-XV secolo, tra i quali uno risulta di particolare fascino e suggestione poiché raffigura il più antico ritratto “certo” di Dante Alighieri sul lato sinistro e il più antico ritratto “certo” di Giovanni Boccaccio sul lato destro, i due capisaldi della lingua italiana: una volta nello stesso affresco si vedeva anche Petrarca (ora non più). Come dire: in vino veritas!
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Nella foto in alto | A sinistra Boccaccio alla corte della regina di Napoli Giovanna (Pablo Salinas); a destra Giovanni Boccaccio, un ritratto di Raffaello Morghen