Milan, la “faida” continua per il controllo della curva. L’ordine di Lucci: “Apparire diversi da quello che si è davvero”
Sedici anni di governo incontrastato, dal 2009 a oggi, e prima un biennio in cui il terreno della conquista viene preparato con due tentati omicidi. La storia recente della Curva Sud milanista è una narrazione che si svolge in “un clima di violenza” e dentro “una faida” continua contro chi, nel tempo, ha provato a conquistare il potere. Del resto i tentati omicidi saliranno a quattro in totale. E così la storia del secondo anello blu dello stadio Meazza non può prescindere dalla storia del suo capo, il 44enne milanese Luca Lucci (al quale dei quattro è addebitato un solo tentato omicidio), il cui manifesto sta tutto in queste parole, riportate nelle motivazioni della sentenza di primo grado rispetto all’inchiesta Doppia Curva: “Bisogna apparire diversi da quello che si è davvero”.
Lucci e il “pensiero opportunistico”
Una frase che, secondo la giudice Rossana Mongiardo, tradisce il pensiero “opportunistico” di Lucci (condannato a 10 anni) e del suo Direttivo. Tanto che, secondo l’accusa condivisa dalla corte, “la struttura” messa in piedi da Lucci “attraverso la sua liceità di facciata, avrebbe sfruttato il potere derivante dalla possibilità di muovere un gruppo estremamente elevato di tifosi per conseguire illeciti profitti, acquisendo e mantenendo con violenza il controllo assoluto sulla tifoseria milanista”.
La “strategia per l’egemonia assoluta”
Azioni violente e spedizioni punitive, quantomeno a partire dal 2016, “sintomatiche di una strategia, condivisa fra i membri del Direttivo, finalizzata al conseguimento e al mantenimento di una posizione di egemonia assoluta ed indivisa nella gestione del tifo organizzato, oltre che al perseguimento, attraverso questa posizione di forza, di vantaggi illeciti ed estorsivi”. Un quadro, va detto, contestato dalle difese “che hanno confutato la prospettazione fornita dalla pubblica accusa”.
La “faida” permanente
Secondo, invece, le motivazioni del giudice si tratta di una “faida” permanente che prima di Lucci inizia nel 2006 con l’ex amico Giancarlo Lombardi il quale con i suoi Guerrieri Ultras conquista il potere. Nel frattempo due tentati omicidi indeboliscono e non poco lo storico gruppo dei Commandos Tigre. Con l’arresto di Lombardi, nel 2007 Lucci è già capo dei Guerrieri. Due anni dopo finisce implicato nel pestaggio di un tifoso interista durante un derby. “Cionondimeno – scrive il giudice – proprio in quell’anno l’imputato riusciva a realizzare l’unificazione del tifo organizzato sotto l’unico striscione denominato Curva Sud”.
Il pestaggio di Genova
Il 2016 è poi l’anno del potere assoluto che coincide con la cacciata dei Commandos Tigre. Il 9 aprile durante Milan-Juventus, la banda di Lucci scende al primo anello blu e fa togliere lo striscione dei Commandos esponendo quello di Curva Sud. Una settimana dopo durante la trasferta a Genova, i suoi pretoriani attendono i ragazzi dei Commandos all’interno del settore ospiti. Il pestaggio è violento. I Commandos si ritirano. Scrive il giudice: “Si trattò di una vera e propria esibizione di forza e di definitiva presa di posizione della Curva Sud”.
Gli inciampi penali del capo ultras
Nel frattempo Luca Lucci, detto il Toro, inizia a inciampare in reati di rilievo e questo rischia di compromettere la sua leadership ormai acclarata con l’allontanamento di Giancarlo Lombardi. In galera però il Toro ci sta ben poco. Il 4 giugno 2018 riceve un’ordinanza (poi patteggiata) per spaccio di droga. A luglio è già libero con solo l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Tre anni dopo finisce ancora nei guai per un traffico di droga rubricato sempre a spaccio e ricostruito attraverso chat criptate. Niente carcere, solo domiciliari e una condanna a sette anni. Nel frattempo nei tre anni appena passati molto è successo.
Le mire degli uomini vicini alla mafia
Le indagini a suo carico hanno infatti rinvigorito gli appetiti sul grande affare della curva Sud. Appetiti anche mafiosi. Nel 2018 il calabrese Domenico Vottari, che pur mai condannato per mafia mantiene stretti rapporti con i rappresentanti dei clan, progetta la scalata. Alle sue spalle il gruppo Black Devils, una via di mezzo tra ultras e Milan club. A febbraio del 2018 partecipa a un summit segreto al quale presenzia anche Giuseppe Calabrò, plenipotenziario delle cosche di San Luca. Soprannominato u Dutturicchiu dirà: “Vedete di collaborare, va fatta seria! Quello che possiamo prendere oggi per il domani”. Vottari è laconico sulla Curva Sud: “Ci sono soldi a palate, solo che c’è una cosa, quelli hanno monopolizzato la Curva”. E soprattutto dietro a Lucci e alla Curva Sud ci sono i garanti della ‘ndrangheta di Platì. Per questo Vottari rimane fermo, però spiega: “Se Sarino si toglie, io questo me lo mangio”.
L’attentanto al locale di Vottari
La fiducia di Vottari però aumenta quando Lucci finisce arrestato per la prima volta. I pretoriani del Toro annusano l’aria e iniziano a fare pressione sulle persone vicine a Vottari. Tanto che un appartenente ai Black Devils teme il peggio: “Credimi Mimmo vuol dire che loro hanno già pianificato, tutto esattamente come fu anni fa per i Commandos, hanno già pianificato dove, come e quando fare l’azione. Sicuro!”. E infatti, proprio nella logica di quel “clima di violenza” e di una “faida permanente”, il 3 novembre 2018 il locale di Vottari a Solaro viene colpito da “un attentato dinamitardo”. L’indagine sul fatto sarà archiviata, ma per il giudice Mongiardo la responsabilità (non contestata penalmente) è di Lucci e dei suoi uomini più fidati come Daniele Cataldo, esperto di armi e droga.
“È la prima puntata del giorno del giudizio”
L’analisi successiva del suo cellulare dimostrerà che “era stato informato di quanto accaduto nel locale di Vottari da Daniele Cataldo meno di 3 ore dopo l’esplosione della bomba-carta, quando ancora non ne era stata divulgata pubblicamente la notizia”. Ricostruisce il giudice nelle sue motivazioni: “Dall’analisi della copia forense del telefono di Lucci, emergeva che Cataldo, alle ore 06:33, ovvero circa tre ore dopo il posizionamento della bomba carta, inviava, via Whatsapp, sulla chat privata del primo un video che lo ritraeva mentre correva, rassicurandolo sul fatto che fosse andato tutto bene, mentre pronunciava, letteralmente, la seguente espressione: ‘Oggi facciamo la prima puntata della serie il giorno del giudizio’“.
Il periodo più turbolento
Ancora nelle motivazioni della sentenza Doppia Curva si legge: “La vicenda esprime nel modo più drammatico, fino a che punto si era connotata la lotta per mantenere l’egemonia sulla tifoseria milanista da parte di Luca Lucci”. È un periodo a dir poco turbolento per il capo della Curva Sud. Non c’è infatti solo Vottari. “Allo stesso tempo – si legge in sentenza – ma separatamente, procedevano in tal senso (cioè entrare negli affari della curva, ndr) anche l’avvocato Alessandro Verga Ruffoni, unitamente ad Enzo Anghinelli”, quest’ultimo vecchio tifoso milanista con un passato nel traffico di droga, già in rapporti con Giancarlo Lombardi e in contatto con lo stesso Vottari.
La reazione di Lucci: il tentato omicidio
Secondo la ricostruzione fatta in sentenza, la reazione di Lucci è violenta e rapida. Sia Verga Ruffoni che Anghinelli vengono picchiati in tre occasioni tra ottobre 2018 e marzo 2019. Per arrivare poi alla mattina del 12 aprile 2019 quando due uomini in scooter nella centralissima via Cadore sparano cinque colpi di pistola contro Anghinelli che non muore, finisce in coma e alla fine sopravviverà. Per questo fatto, nonostante restino alcuni dubbi sul movente e sui killer, Lucci viene condannato e con lui Daniele Cataldo. “Il quadro che ne scaturisce a carico di Luca Lucci – tiene il punto il giudice Rossana Mongiardo- è quello di un soggetto che dirige un gruppo di tifosi ristretto, fedelissimi, che all’interno della Curva Sud, è pronto a difendere il potere conquistato, se necessario anche con l’uso di armi da fuoco”.
La caccia a Lombardi dentro l’Old Fashion
Le stesse armi, sempre in mano al pro-console Cataldo, a cui scampa Giancarlo Lombardi, il quale a partire dal primo arresto di Lucci in ogni modo ha tentato di rientrare in curva Sud anche facendo sponda su gruppi criminali come la banda della Barona capeggiata da Nazzareno Calajò. Alla corte di Calajò del resto andrà a chiedere vendetta, secondo la sentenza, anche il duo Ruffoni-Anghinelli. Il 12 gennaio 2024, Lombardi è presente nella discoteca Old Fashion. Purtroppo per lui alla serata partecipano anche membri del direttivo di Lucci che gli danno la caccia, quasi lo prendono, ma lui riesce a fuggire, scampando a un’aggressione probabilmente armata visto che secondo il giudice all’Old Fashion era arrivato l’onnipresente Cataldo con una pistola.
La “guerra” in mano a Cataldo
E di nuovo torna “quell’aria di violenza” e di “faida” permanente. Tanto che il giudice annota: “Anche questa azione di gruppo ai danni di Lombardi, che, ragionevolmente, avrebbe potuto avere conseguenze molto più gravi se Cataldo non avesse perso la pistola, è stata partecipata e pienamente condivisa da tutti i membri della Curva Sud che vi avevano partecipato”. E’, dunque, “una guerra” quella di Lucci per ribadire “la sua egemonia” legata al fatto di “non volere dividere con nessuno il suo territorio di affari”. Una guerra la cui “strategia è affidata anche a una persona, come Cataldo Daniele, che risulta essere stato arrestato nel 2015 per possesso di droga, di veicoli rubati e soprattutto di armi e che, nel biennio 2018-2019, aveva partecipato alle più gravi aggressioni in danno di Vottari e Anghinelli e, di nuovo, all’aggressione ai danni di quest’ultimo e di Lombardi, avvenute nel 2024”.
Le sprangate agli ultras croati
La forza e la violenza e non certo il dialogo, secondo il giudice, caratterizzano la scalata di Lucci del potere in curva e il mantenimento dello status quo. Con gli agguati e le spedizioni punitive, ma anche mostrando i muscoli davanti ad altri gruppi di ultras come avviene il 14 settembre 2022 contro gli ultras croati della Dinamo Zagabria. Dalle chat emerge da parte di Lucci “una piena soddisfazione e il proprio compiacimento per la dimostrazione di forza”. Tanto da scrivere: “Gli ha dato una sprangata in faccia. È svenuto sulle gambe, gli altri si sono fermati, che tipo si sono spaventati. Altre tre o quattro sprangate”. Nel dialogo interviene poi Alessandro Sticco detto Shreck, forse l’unico vero erede del Toro: “No Luca, non puoi capire, sai che ho gli occhi lucidi dall’emozione? Mi sento come quando è nata mia figlia, no forse di più”. Tutti questi episodi narrati dalla sentenza del giudice Rossana Mongiardo “non costituiscono devianze isolate, ma veri e propri tasselli della stessa strategia: si tratta, in sintesi, di un gruppo che si afferma con le mani, che si racconta come guida, ma che, nei fatti, governa con la violenza”. Perché il vero manifesto del Toro Lucci è sempre lo stesso: “Bisogna apparire diversi da quello che si è davvero”.