“Non devono essere bolliti vivi tra sofferenze atroci”. È con questa presa di posizione netta che Licia Colò interviene nel dibattito sul trattamento dei crostacei, rilanciando in pieno periodo natalizio la campagna “Dalla parte dei crostacei”, promossa da una coalizione di associazioni animaliste guidata da Animal Law Italia. Il contesto è quello delle festività, quando riviste e programmi di cucina moltiplicano ricette a base di aragoste, astici, granchi, scampi e gamberi, soprattutto per la cena della vigilia. Nelle pescherie, però, questi animali vengono spesso esposti ancora vivi, con le chele legate e adagiati su letti di ghiaccio granulato. Una pratica che, secondo le associazioni, provoca dolore, stress e paura a esseri viventi senzienti.
La campagna chiede tre punti chiari: vietare la vendita di crostacei vivi, proibire la loro conservazione su ghiaccio o in acqua ghiacciata e bandire la bollitura da vivi, compresa la tecnica del lento innalzamento della temperatura dell’acqua. Una pratica che, sottolineano gli esperti, comporta sofferenze prolungate. Licia Colò ha scelto di esporsi con un video appello rivolto al suo pubblico: “Magari siamo più sensibili nei confronti dei mammiferi, ma ci sono altre specie che subiscono delle torture inenarrabili”. La conduttrice invita a informarsi: “Vi chiedo di informarvi sulla vita dei crostacei, ancora in parte sconosciuta. E soprattutto sul modo terribile con il quale li uccidiamo. Aragoste, granchi, astici che vengono uccisi buttati direttamente nell’acqua bollente”.
Colò richiama esplicitamente la ricerca scientifica: “Ricerche scientifiche sostengono che siano esseri senzienti e provino infinito dolore. Quindi pensiamoci”. Il suo appello non è contro il consumo in sé, ma contro modalità che infliggono sofferenze evitabili. La petizione online lanciata dalla coalizione ha già raccolto circa 10 mila firme. Ne fanno parte, oltre ad Animal Law Italia, anche Animal Equality, Ciwf, Enpa, Essere Animali, Lav, Leal, Lndc e Oipa. L’obiettivo è ottenere un riconoscimento formale dei crostacei decapodi come esseri senzienti e una normativa che ne disciplini cattura, trasporto, stoccaggio e uccisione.
“Serve una modifica legislativa che chiuda per sempre la possibilità di infliggere inutili sofferenze ai crostacei decapodi”, spiega Alessandrio Ricciuti, presidente di Animal Law Italia. “Chiediamo che sia permessa solo la vendita delle loro carni, per evitare lunghi giorni di maltrattamento che spesso finiscono con il supplizio della bollitura. Sarebbe un passo avanti di civiltà che è ormai ineludibile”. La coalizione, lanciata ufficialmente lo scorso luglio, attende un segnale dal ministero della Salute, ma chiama in causa anche la grande distribuzione: secondo Ricciuti, le catene potrebbero adottare fin da subito queste buone pratiche senza attendere un obbligo di legge. “Nessuno si sognerebbe di vendere un pollo o un agnello vivi ai consumatori finali, né un’orata o un branzino. Non si capisce perché lo si debba fare con i crostacei”.
Le basi scientifiche non mancano. Nel 2021 un report della London School of Economics and Political Science ha analizzato oltre 300 studi, concludendo che i crostacei decapodi sono capaci di provare sentimenti, inclusi dolore e sofferenza. Dal 2022, nel Regno Unito, sono riconosciuti ufficialmente come esseri senzienti e l’associazione nazionale dei veterinari ha chiesto per loro metodi di uccisione definiti “umani”. In Europa, norme specifiche esistono già in Austria, Norvegia e Svizzera. “Se l’Italia adottasse per legge parametri sull’adeguata cattura, maneggiamento, trasporto, stoccaggio e uccisione di questi animali – scrive la coalizione – potrebbe innescare un cambiamento più ampio anche a livello europeo”.
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