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È morta Sophie Kinsella, così è diventata una star letteraria grazie ad un’intuizione: “Lo shopping era diventato il passatempo nazionale e nessuno ne aveva mai scritto”

L'autrice di I love shopping è scomparsa a 56 anni dopo una diagnosi di tumore al cervello. La sua Becky Bloomwood ha venduto 6 milioni di libri

di Davide Turrini
È morta Sophie Kinsella, così è diventata una star letteraria grazie ad un’intuizione: “Lo shopping era diventato il passatempo nazionale e nessuno ne aveva mai scritto”

“Lo shopping era diventato il passatempo nazionale e nessuno ne aveva mai scritto”. Addio a Sophie Kinsella, al secolo Madeleine Wickham, L’autrice britannica di un best seller clamoroso come I love shopping (in originale Confessions of a shopaholic) è morta. Aveva 56 anni e non più di un anno e mezzo fa le avevano diagnosticato un tumore al cervello incurabile. La scrittrice e giornalista finanziaria inglese è diventata una star letteraria del genere commedia romantica, sottogenere con fare dispregiativo chick lit, quando nel 2000 ha inventato la spasmodica e indebitata mania di spendere e spandere, soprattutto con carta di credito, dell’eroina un po’ frivola e superficiale Becky Bloomwood. A quel libro ne seguirono altri dieci con la stessa protagonista e la stessa folle ossessione compulsiva per lo shopping. Kinsella/Wickham, che fino a quel momento aveva sonnecchiato senza successo tra romanzetti rosa (ben sette), dopo una breve carriera da giornalista finanziaria, ebbe la classica illuminazione. Lo spiegò lei stessa in una lunga, memorabile e alquanto affabile intervista al Guardian nel 2012.

“Intorno a me vedevo accadere questo. Parlavamo tutti di shopping, andavamo a fare shopping, la questione delle carte di credito era enorme, e vedevo l’ipocrisia di tirare fuori la carta di credito e poi essere rimproverati perché sopra non c’era più denaro. Nessuno aveva mai pensato di trattarlo in un libro. Allora ho pensato, aspetta un attimo, lo shopping è diventato il passatempo nazionale e nessuno ne ha scritto. Mi è sembrato un progetto, come dire, molto sperimentale”. I love shopping, e il nom de plume Sophie Kinsella, non diventarono solo un successo, ça va sans dire, commerciale, ma un vero e proprio fenomeno di costume e culturale. Del resto il verbo neoliberista è stato, ed è, quello del consumo spasmodico, spesso a conto scoperto. Paga pantalone, si dice da noi. Ma in I love shopping, e capitoli seguenti, il cuore pulsante della frenesia in esame rimane sempre quello del desiderare ciò che invariabilmente, oggettivamente, non serve.

Così se la Wickham, dalle colonne delle riviste, suggeriva nella vita reale come investire con giudizio il proprio denaro senza rimanere a secco; il suo alter ego letterario dilapidava patrimoni in golfini e cosmetici. In Inghilterra, e più in generale nel mondo editoriale angloamericano, anche grazie al fenomeno Bridget Jones, si è discusso molto del sottogenere chick lit, sempre con un certo fastidio. Romanzo d’evasione o bieca esaltazione consumista? Eppure pur nella semplicità linguistica e nella canonicità strutturale la saga kinselliana ha avuto il pregio di un realismo esasperato e inesausto, specchio riflesso comportamentale di centinaia di milioni di consumatori nel mondo. Londinese di nascita, laureata nel New College di Oxford, Wickham aveva esordito nel 1995 con The tennis party un racconto con protagonista un consesso di uomini di mezza età, niente di più lontano dalla sua futura eroina spendacciona Becky.

La scintilla come Kinsella è del 2000 e il successo –oltre sei milioni di libri venduti nel mondo – monta in nemmeno un decennio facendo finire Wickham tra le 100 donne britanniche più ricche della storia. “Puoi essere molto intelligente, ma anche un po’ svampita e goffa. Puoi non saper cucinare ma puoi amare il rossetto”, spiegava laa scrittrice britannica nel 2012. “Penso che sia più realistico rappresentare le donne con tutte queste sfaccettature, piuttosto che dire: ‘Ok, sei intelligente, quindi devo descriverti come una persona competente’. Mi sembra un ideale ingiusto. Leggere di qualcuno che non commette mai un errore, che non ha mai la vita privata in disordine, che non si preoccupa mai dell’equilibrio tra lavoro e vita privata, credo sarebbe irreale. Quello che scrivo è reale”.

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