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È morto a 26 anni “PettorAle” Antonicelli, il personal trainer che raccontava sui social la vita con un raro osteosarcoma. L’ultimo post: “La malattia è fuori controllo”

La storia di Alessandro Antonicelli, conosciuto come PettorAle, morto a 26 anni dopo aver documentato sui social la sua lotta contro un raro osteosarcoma

di Redazione FqMagazine
È morto a 26 anni “PettorAle” Antonicelli, il personal trainer che raccontava sui social la vita con un raro osteosarcoma. L’ultimo post: “La malattia è fuori controllo”

Alessandro Antonicelli, conosciuto sui social come “PettorAle”, è morto il 6 dicembre a soli 26 anni dopo due anni di lotta contro un osteosarcoma condroblastico, un raro tumore maligno dell’osso. Il giovane body builder e influencer aveva scelto di raccontare la sua malattia passo dopo passo ai 159mila follower che lo seguivano su Instagram, trasformando il percorso di cura in un racconto pubblico di coraggio, consapevolezza e solidarietà. Sul suo profilo è comparso un messaggio asciutto e struggente: “Oggi il mondo è un po’ più vuoto: Ale è volato via, libero dal dolore, trovando la pace che meritava”. Un annuncio dato dalla famiglia, che ha chiesto rispetto e discrezione in queste ore difficili, ringraziando la comunità che per due anni ha sostenuto Alessandro con affetto e partecipazione.

Chi era Alessandro Antonicelli

Originario di Cavour, in provincia di Torino, Antonicelli aveva dedicato la sua vita allo sport sin da bambino, passando dal calcio al judo, dal nuoto al sollevamento pesi. Dopo la laurea in Biologia, si era trasferito a Milano per proseguire gli studi in Scienze dell’alimentazione e della nutrizione umana alla Statale, aprendo contemporaneamente una sua attività come personal trainer. Il suo nome d’arte, “PettorAle”, era diventato un marchio di riconoscimento sui social.

La diagnosi e il racconto ai follower

Nel 2023 la scoperta che avrebbe ribaltato la sua vita: “Il dolore al ginocchio e la stanchezza cronica che provavo da oltre un anno, come sospettavo, non avevano nulla a che vedere con gli allenamenti”, aveva scritto sui social. La diagnosi parlava chiaro: osteosarcoma condroblastico, una forma rarissima di tumore maligno, “lo 0,2% della popolazione: due casi ogni milione”. Da quel giorno Alessandro aveva scelto la strada più difficile: raccontare la malattia senza filtri, con lucidità e positività. “Avrei voluto si trattasse di legamenti o menisco, ma non è stato così. L’unica cosa che posso controllare è come decido di affrontarla”, aveva confessato. E nei mesi successivi aveva documentato chemio, interventi, ricadute, sempre con un sorriso che molti commentatori avevano definito “disarmante”. Quando, nell’agosto 2024, il tumore era tornato in forma più aggressiva, aveva scritto: “Questa volta il colpo è più duro, ma continuo a lottare. E lo faccio, come sempre, con il sorriso”.

Il progetto “Fuck Cancer”

L’ultimo grande gesto di Alessandro era arrivato solo tre giorni prima della morte: un video in cui presentava il progetto “Fuck Cancer”, nato per raccogliere fondi destinati all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Un cappellino con la scritta da lui disegnata, simbolo di una battaglia che voleva trasformare il dolore in aiuto concreto per gli altri. “Porteremo avanti il suo progetto con la stessa determinazione che lui ci ha insegnato”, ha scritto la famiglia. “È ciò che avrebbe voluto, ed è il modo più vero per tenerlo vivo”.

Gli ultimi giorni

A ottobre, dopo un viaggio in Giappone, le sue condizioni erano precipitate: “Sono partito che camminavo ancora, sono tornato che non mi reggevo senza stampelle. La malattia è fuori controllo”, aveva raccontato. E aggiungeva, senza mai rinunciare alla trasparenza: “Vi mostrerò sempre la mia vita così com’è, senza filtri. La palestra, i viaggi, gli ospedali, le paure. Questa è solo un’altra parte del mio percorso, forse la più dura, ma è mia”. Il 6 dicembre la battaglia è finita. E la frase scelta per salutarlo racchiude la sua eredità: “La vita vale sempre la pena di essere vissuta”.

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