La Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitri Šostakovič, data a Leningrado e Mosca nel 1934 è composta di quattro atti densi e intensi, in nove quadri, con cinque smaglianti entr’actes sinfonici. Il musicista ci lavorò un paio d’anni: nel suo intendimento avrebbe dovuto inaugurare una trilogia di opere incentrate su figure femminili russe memorabili. Ne stese il libretto assieme ad Aleksandr Prejs: con lui aveva scritto Il naso, la meravigliosa opera satirica tratta da Gogol’ (Leningrado 1930). Ma che rapporto ha Lady Macbeth con la novella di Leskov? I due scapestrati giovanotti – non avevano cinquant’anni in due – seguirono la linea narrativa del racconto, ma gli diedero un accento drammaturgico assai diverso. Katerina è sì un personaggio immorale, avida e crudele assassina, ma Šostakovič simpatizza per lei (lo dice in uno scritto del 1932). E ciò si spiega: i veri cattivi, i perfidi, appartengono alla classe dei mercanti facoltosi e gretti, di cui Katerina è vittima. Da questo giogo cerca di liberarsi.
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Le modifiche rispetto a Leskov non mancano, anzi. Eccone alcune. Primo: Fedja, il giovinetto malaticcio che, in quanto co-erede, può attentare al patrimonio di Katerina, nell’opera non c’è. L’omicidio in scena di un ragazzino, dice Šostakovič, avrebbe urtato gli spettatori. Secondo: è potenziato l’episodio della burla fatta dai lavoranti alla grassa cuoca, che ai due autori offre il modo d’introdurre un primo sensuale “corpo a corpo” fisico fra Katerina e Sergej. Terzo: viene aggiunta la figura grottesca e sguaiata del Pope, che compare sia nel funerale del suocero Boris, sia nel pranzo di nozze dei due occulti assassini. Quarto: nuovo è l’episodio del comando di polizia, nel quale l’idiota del villaggio denuncia d’aver scoperto il cadavere di Zinovij, il marito della protagonista. Quinto: ma è soprattutto l’impetuosa scena d’amore e sesso dei due protagonisti, risolta da Leskov con una trasparente ellissi (“‘Va’, va’ via!’ disse Katerina dopo una mezz’ora, ravviandosi i capelli sciolti…”), a venir rappresentata in tutta la sua veemente flagranza. Il tripudiante crescendo orchestrale che culmina nell’orgasmo, e l’osceno glissando dei tromboni che sonoramente glorifica la detumescenza postcoitale, indussero un critico statunitense a coniare il termine “pornofonia“. Difficile smentirlo.
Si può ben dire che, in linea generale, lo stile di Šostakovič non è velatamente evocativo; anzi, è plateale e sfacciato, ostentatamente deformante. L’interludio che introduce il quadro dei poliziotti, per esempio, è uno sfrenato galop, tipo Folies Bergères. Il trattamento grottesco investe tutti i personaggi di contorno, ad eccezione di Katerina e Sergej: soprano lirico spinto lei, tenore lirico spinto lui, sono loro gli unici veri “eroi” dell’opera. Il programmatico divario stilistico che li eleva sopra il livello carnevalesco di tutti gli altri personaggi àltera alla radice il taglio naturalistico del racconto di Leskov. Da un lato esalta i due amanti criminali, e dunque attira su di loro – su Katerina soprattutto – l’empatia dello spettatore. Dall’altro, connota il sordido ambiente circostante – il “popolo“, se vogliamo – in una caricatura ridicola e disgustosa. Non meraviglia che questo voluto squilibrio abbia provocato il violento rigetto ideologico del regime stalinista.
Il successo di Lady Macbeth fu da subito trionfale. Nei primi due anni registrò quasi duecento recite tra Leningrado e Mosca, fu osannata a New York, Londra, Stoccolma, Buenos Aires, Zurigo. La fortuna in patria fu troncata e la diffusione all’estero frenata da un articolo anonimo pubblicato dalla Pravda, intitolato Caos anziché musica, a quanto pare ispirato e comunque approvato da Stalin, che denunciava l’opera come “musica confusa, volutamente cacofonica“, “antipopolare“, “estranea allo spirito sovietico”. Nel 1963 – Stalin era morto dieci anni prima – Šostakovič ritoccò la partitura, smussandone certe asperità. L’opera, ribattezzata col nome della protagonista, Katerina Izmajlova, fu data a Mosca, e in questa versione, per espressa richiesta dell’autore, l’anno dopo approdò alla Scala di Milano. Morto Šostakovič, nel 1979 l’editore amburghese Sikorski ha pubblicato la primissima versione della partitura. Ne deriva un problema critico: dobbiamo considerare più autorevole la Urfassung, ossia il primissimo originale, 1934, quello che scatenò la condanna di Stalin? Oppure la Fassung letzter Hand, la “versione di ultima mano”, che, rifinita dall’autore nel 1963, ne rappresenta l’ultima volontà? La Scala ha optato per la Urfassung.
Una cosa va detta, a scanso di equivoci. Non è che Šostakovič e Prejs non si rendessero conto di avere esagerato con alcune loro ‘trovate’. Giovani e sfrontati, avevano calcato la mano. Pertanto qualche passo era stato mitigato già durante le recite iniziali. Un esempio su tutti. Prima della notte con Sergej, Katerina è sola in scena, in preda alla malinconia, alla solitudine, alla fame d’amore. In un’aria assolo confronta la propria desolazione con gli accoppiamenti degli animali in fregola («Il puledro corre dalla sua giumenta, | il gatto insegue la gattina, | il colombo corteggia la colombella, | soltanto io non ho nessuno che mi desidera, | … | nessuno accarezzerà il mio bianco petto, | nessuno mi stordirà con i suoi abbracci appassionati…»). Nello spartito dell’opera, pubblicato nel 1935, Katerina sfoga una più generica mestizia: “Vidi un nido dalla mia finestra un dì, | sotto il tetto un piccolo nido; | e spesso vedevo un colombo | volare felice con la compagna. | Ancora spesso lo guardo: | con che invidia, io mi rattristo e piango…”.
La musica dell’opera meriterebbe da sola un volume. Attiro l’attenzione sull’inizio e sulla fine. (1) Ascoltate la ‘noia’ desolata del primo quadro, il monologo iniziale di Katerina, introdotto e permeato dall’intreccio errabondo dei legni (oboi, clarinetti, fagotti): è l’immagine sonora della tristezza esistenziale. (2) Ponete mente, negli ultimi cinque minuti, all’implacabile ‘ostinato’ ritmico sotteso all’omicidio–suicidio delle due donne, e al loro urlo lacerante, mentre la marcia dei forzati procede verso la Siberia.
Aggiungo una considerazione generale. Sull’arco dell’intera opera gli episodi di contorno, col loro carattere grottesco e beffardo, contrastano e intralciano costantemente questo tono dominante di greve drammaticità. Ed è proprio in questo voluto divario di stile e di atteggiamento che risiede lo ‘scandalo’ della Lady di Šostakovič.
In conclusione: l’opera è e resta un grande capolavoro, in barba a Stalin, la dittatura, la censura, le traversie del Novecento. Non mi piacciono i mezzi termini: Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk è pietra miliare del teatro d’opera russo, e dunque della cultura europea.