Gli occhi lucidi del padre umiliato in fabbrica. L’epica idealista di Brunello Cucinelli, dove l’etica incontra senza conflitti il profitto, inizia da qui. Una scintilla emotiva che si è fatta missione di vita. Il racconto per immagini della sua filosofica “ossessione per la gentilezza” è andato in scena a Cinecittà, al Teatro 22, il più grande d’Europa, cornice e battesimo mondiale del documentario “Brunello. Il visionario garbato” diretto da Giuseppe Tornatore, dedicato proprio alla storia dell’imprenditore umbro. Il set di Ben Hur si è illuminato per una notte. Due grandi bracieri accesi, un’esedra di colonne tra cui spuntavano le figure dei grandi filosofi cari a Cucinelli, da Pitagora a Socrate, a ricordare che per lui la matematica è “la legge dell’universo” e che la classicità non è museo, ma bussola morale. Red carpet color crema, colore “cuccinelliano” per eccellenza, ad accogliere oltre mille invitati tra star del cinema (Jessica Chastain, Jeff Goldblum, Jonathan Bailey) e personalità dell’economia e della moda. In prima fila pure Mario Draghi, l’ex presidente del Consiglio che nel film racconta perché, nel pieno della pandemia, scelse proprio Cucinelli per portare al G20 di Roma un messaggio di fiducia e responsabilità. Poi c’è l’ospite che “c’è ma non c’è” (e fa slittare l’inizio della proiezione): la premier Giorgia Meloni, amica e cliente affezionata – i suoi tailleur pastello parlano da soli – di Cucinelli.
“Brunello, il visionario garbato” non è un semplice documentario aziendale, e neppure un biopic tradizionale. Lo chiarisce Tornatore: “Non è un documentario, non è un film, non è uno spot pubblicitario, ma allo stesso tempo è tutti questi generi fusi insieme. Lo considero un film sperimentale, dove il documentario canonico si intreccia con la messa in scena dei capitoli più significativi di un film che forse non esiste, o forse sì”. La definizione non è retorica. Tornatore costruisce un’opera poetica e magniloquente, dal respiro dichiaratamente cinematografico, che in più di un passaggio fa pensare a Nuovo Cinema Paradiso: non solo perché è uno dei film del cuore di Cucinelli, ma per la stessa capacità di trasformare il ricordo in racconto universale, la memoria in materia visiva. Le sequenze di finzione – l’infanzia nella campagna umbra, il padre operaio umiliato in fabbrica, il ragazzo che passa le ore al bar a discutere di filosofia – si alternano alle interviste, ai filmati di gioventù, al presente in cui Brunello cammina tra le campagne di Solomeo, sale sul palco del G20, parla agli operai in fabbrica. Tutto è cucito dalla colonna sonora di Nicola Piovani. Al centro del film c’è sempre lui, Cucinelli, quel bambino umbro che “avrebbe voluto fare il Papa” e invece è diventato un imprenditore della moda di lusso con un fatturato di 1 miliardo.
La scena chiave – quella che, a suo dire, ha deciso il resto della sua vita – è l’immagine del padre operaio, che esce per andare a lavorare mentre lui rientra a casa dall’ennesima nottata con gli amici: “Da ragazzo vidi gli occhi lucidi di mio padre umiliato e offeso sul lavoro. Ancora oggi non capisco perché si debba umiliare e offendere. Da quel dolore ho deciso che il sogno della mia vita sarebbe stata un’impresa che facesse sani profitti, ma con etica, dignità e morale“. Tornatore mostra il giovane Brunello un po’ sognatore e un po’ perdigiorno: uno che preferisce passare i pomeriggi a giocare a carte al bar con gli amici che trovare il “posto fisso”, che studia filosofia ma non dà neanche un esame. Un contrasto che dà al film una tensione quasi romanzesca. È così che la partita si ribalta. Come una folgorazione, ecco che arriva la grande idea: fare maglioni di cachemire colorati da donna. È la svolta. Niente più bar, solo lavoro. E tutto cambia.
Infine una massima che Cucinelli, dal canto suo, ripete spesso anche fuori dallo schermo: “Mi sento custode e non proprietario, quindi non ho paura di perdere“. Nel doc di Tornatore arriva verso la fine, quando ormai lo spettatore ha visto Solomeo trasformata in borgo ideale, con il teatro, l’accademia, i paesaggi curati come giardini rinascimentali, i laboratori dove l’orario di lavoro è compatibile con la vita, le retribuzioni sopra la media. Il film non nasconde il successo, ma lo mette continuamente in relazione con un senso di responsabilità quasi monastica.
La sequenza conclusiva, che resta addosso anche dopo i titoli di coda, è costruita come una metafora sportiva e morale. Tornatore ha scelto il gioco delle carte come fil rouge del film, con una “partita finale” che viene giocata tra un passaggio e l’altro della sua vita: in campo ci sono il Brunello di oggi e quello bambino. La partita è vinta, sembra dirci il film, non perché è arrivato il successo, ma perché il bimbo di ieri e l’uomo di oggi restano, in fondo, la stessa persona. “La mia in fondo è una storia di determinazione e di passione – riflette Cucinelli -. Vorrei che fosse d’ispirazione per tutti i giovani che ancora cercano la propria strada. È dai sogni che nasce la vera crescita spirituale dell’essere umano”.
“Brunello. Il visionario garbato” sarà nelle sale italiane il 9, 10 e 11 dicembre. Cucinelli, 72 anni, è l’ultimo di tre fratelli di una famiglia di contadini mezzadri. Nel 1978 fonda il brand che porta il suo nome, trasformando negli anni il piccolo borgo umbro di Solomeo nel quartier generale dell’azienda che oggi fattura oltre un miliardo di euro. “Il mio epitaffio?”, dice, “Vorrei che ci sia scritto “era un uomo garbato”.