Spostatevi da lì davanti. Massimo Decimo Meridio è tornato. Le inquadrature di “Norimberga” – titolo di chiusura del Torino Film Festival 2025 – tracimano letteralmente della presenza maestosa di Russell Crowe. Qui vestito con la larga divisa grigio azzurra del Reichsmarschall, successore assoluto e unico di Hitler, Hermann Goring. “Norimberga” di James Vanderbilt inizia dove finisce il Terzo Reich, con Goring sull’auto presidenziale in fuga in mezzo alla campagna a fendere con impeto colonne di profughi.
L’auto viene fermata con i fucili puntati da un manipolo di fanti statunitensi. Prima qualche dettaglio del corpo del protagonista, poi la concitazione dell’azione, infine Crowe/Goring esce dalla macchina imponente per stazza e aura, facendo capire che nelle successive due ore occuperà uno spazio di rilievo. Tanto e tale è lo sbilanciamento di tensioen filmica sulla figura mefitica e autoritaria, epica e criminale, di un factotum assoluto del nazismo. Incarcerato in un luogo segreto assieme ad un’altra decina di figure del mondo nazista (spiccano per scelte narrative Robert Ley, Karl Donitz, Julies Streicher) in attesa di esser processato per crimini di guerra e contro l’umanità, Goring viene sottoposto all’analisi, alle confidenze e alle cure dello psichiatra Douglas Kelley (Rami Malek).
“Il suo compito è tenerli in vita”, riferiscono gli alti comandi a Kelley che però, almeno qui nella finzione, tratta dal libro Il nazista e lo psichiatra di Jack El-Hai, viene molto attratto dal magnetismo dell’imponente manipolatore Goring, tanto da preoccuparsi di fare da continuo tramite fisico tra il Reichsmarschall sua moglie e sua figlia, fungendo da postino e quasi da avvocato difensore.
Lo script di Vanderbilt (Zodiac, The Amazing Spider-Man) vorrebbe tenere una sorta di doppio bordone narrativo allo stesso livello di pathos, ovvero quello dell’istituzione del processo di Norimberga da parte del giudice statunitense Robert H. Jackson (Michael Shannon) quando ancora non c’era nemmeno una bozza di diritto internazionale contro i crimini di guerra. Ma è la presenza ingombrante (falstaff, panzone, gli dicono gli americani) di Goring/Crowe a prendere il sopravvento.
Affetto da disturbi di salute, dipendente dalla morfina, Goring inizia a perdere peso (Russell fa proprio le flessioni in cella!) e arriverà guizzante sul banco degli imputati negando abilmente ogni responsabilità sia di guerra che di sterminio degli ebrei, facendo tentennare l’accusa, fino a quando sarà il dottor Kelley, oramai fuori dai giochi (c’entra anche uno scoop dei giornali) suggerirà al pubblico ministero inglese (Richard E. Grant) come incastrare Goring alla sbarra. Per capire cosa significhi la presenza luciferina di Crowe in questo film basterebbe toglierlo e sostituirlo con qualcun’altro: Norimberga non esisterebbe.
La sua danza del potere sul banco degli accusati dei peggiori crimini contro l’umanità (si alza dopo gli altri quando entrano i giudici e rimane in piedi per un po’ quando gli altri si sono già seduti; risponde in tedesco quando nessuno se lo aspetta; reinterpreta documenti ufficiali del Reich scansando responsabilità) è un saggio performativo oltre ogni seduta possibile all’Actor’s studio. Crowe alza gli occhi lentamente dal basso verso l’alto, fissando il pubblico del tribunale e la corte con un senso di sfida già vinta. Proprio come il suo celebre gladiatore, questo attore sempre leggermente sovrappeso fa della stazza un potente magnete, un oggetto centripeto, un gorgo oscuro dentro il quale ci si può solo perdere e tremare.
Kelley del resto ci finisce dentro fino all’osso del collo in un gioco di specchi che lo porterà (ce lo dicono le didascalie finali) a suicidarsi con una pasticca di cianuro, proprio come Goring prima di essere impiccato, una decina d’anni dopo. In Norimberga, certo, si cerca anche l’illustrazione degli orrori nazisti (i filmati dei campi di concentramento sono quelli mostrati proprio al processo di Norimberga) per una naturale costernazione e pena ancora oggi autentica e impossibile da archiviare. Eppure pur stando dalla parte del bene non possiamo che ammirare quanto fascino criminale produca il male. E con tutta la stima per Luca Ward, storica voce italiana di Crowe, sarebbe meglio vedere Norimberga in lingua originale, con Goring che finge di non capire l’inglese quando invece, da perfido e fottuto nazista, lo sa a menadito.