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“Chi decide di chiudere la propria vita in modo prematuro perché soffre, lo fa per motivi personali, non perché è depresso. Quando Mario Monicelli saltò dalla finestra fu una scelta lucidissima”: parla Chiara Rapaccini

Delle Kessler - racconta a Repubblica - l'ha colpita "l’intelligenza di queste due donne. Mi colpisce l’assoluto rispetto che meritano: è una scelta comprensibile e l’hanno fatta bene, con grande discrezione: se ne parla dopo, non prima. Mi colpisce anche il modo in cui i media le raccontano. Le chiamano “le gemelle”, come se fossero una cosa sola. Ma sono due donne..."

di F. Q.
“Chi decide di chiudere la propria vita in modo prematuro perché soffre, lo fa per motivi personali, non perché è depresso. Quando Mario Monicelli saltò dalla finestra fu una scelta lucidissima”: parla Chiara Rapaccini

“Chi decide di chiudere la propria vita in modo prematuro perché soffre, lo fa per motivi personali, non perché è depresso”: è lunga e intensa l’intervista che Chiara Rapaccini ha rilasciato a Repubblica. La domanda d’attacco è quella che ci si aspetta, se con la notizia del suicidio assistito di Alice ed Ellen Kessler abbia pensato alla fine del suo compagno Mario Monicelli: “Sì. Tutti noi, parenti di persone che si sono tolte la vita o che hanno sperimentato situazioni simili, ogni volta che c’è un altro caso pensiamo alla nostra perdita. Può sembrare un atto di egoismo ma è naturale. Perché quando Mario decise di saltare dalla finestra di un ospedale, in Italia non c’era la possibilità di scegliere il suicidio assistito. Eravamo nel 2010″. Tornado alla depressione, Rapaccini continua: “Di Mario fu detto che era depresso ma non era vero: fu una scelta lucidissima. La puoi fare come vuoi, buttandoti dalla finestra, andando in Svizzera, iniettandoti un veleno. Ma la società, allora come oggi, non era pronta a dare un aiuto secco, preciso, con la pietas necessaria quando una persona sceglie liberamente la propria morte“.

Delle Kessler l’ha colpita “l’intelligenza di queste due donne. Mi colpisce l’assoluto rispetto che meritano: è una scelta comprensibile e l’hanno fatta bene, con grande discrezione: se ne parla dopo, non prima. Mi colpisce anche il modo in cui i media le raccontano. Le chiamano “le gemelle”, come se fossero una cosa sola. Ma sono due donne, con nomi diversi, due artiste con mentalità diverse, intellettuali che hanno lavorato su Brecht. Invece si parla delle gambe, lunghe, velate… Incredibile che ancora oggi il mainstream le tratti così”. E sulla domanda se questa storia sia importante per aprire il dibattito anche da noi, la risposta arriva senza indugi: “Importantissima. La loro decisione, la modalità, tutto. Io faccio parte dell’Associazione Luca Coscioni, come me ci sono i figli Lizzani, portiamo la nostra esperienza di figli, compagni, mariti. Io penso che l’Italia sia un Paese oscurantista. Questa cosa non riesce a passare, per la mentalità bigotta, vetero-cattolica. L’esempio delle Kessler è una buona cosa, anche se so che ci sono state critiche feroci. Ma loro erano due donne di ottantanove anni libere, avevano maturato la decisione da tempo, con profondità. Noi donne, quando decidiamo della nostra morte, possiamo farlo con grande maturità. Alice ed Ellen sono un esempio fortissimo perché erano amate dagli italiani, famosissime. Molto più di Monicelli”.

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