Craxi lo disegnava in divisa fascista. D’Alema, che lo querelò chiedendogli tre miliardi, coi baffetti da Hitler. Spadolini con una pancia enorme e un pene piccolissimo. Veltroni era un enorme bruco e Prodi un monsignore paffutello. Giorgio Forattini, che si è spento all’età di 94 anni a Milano, è stato il più celebre, nonché primo caricaturista a far apparire le proprie vignette di satira politica sulle pagine di un settimanale (Panorama nel 1972), poi su un quotidiano (Paese Sera dal 1973), fino alla consacrazione con la collaborazione a partire dal 1976, e con diverse pause, sulla prima pagina di La Repubblica.
Per capire il senso dissacratorio della sua satira basta andare a riprendere la prima vignetta pubblicata su un quotidiano, quella sul presidente del Consiglio Amintore Fanfani all’indomani della sconfitta sul referendum del divorzio nel 1974. Una vignetta che oggi sarebbe trafitta dagli strali del politicamente corretto sezione body shaming. Con il titolo “Il tappo è saltato”, Forattini disegna una bottiglia che ha come etichetta il “No” vincente e un piccolo Fanfani (che nella realtà era molto basso, ndr) al posto del tappo che salta in aria come un missile. E dire che il giovane Forattini, spesso intento a schizzare caricature degli insegnanti-preti del collegio religioso dove studiava, insegnanti che poi sul registro apponevano uno “0”, nemmeno sapeva disegnare.
Nel primo dopoguerra aveva fatto l’operaio, aveva venduto elettrodomestici e pure prodotti petroliferi (il padre era un dirigente dell’Agip), poi grazie alla fidanzata danese Lene de Fine Licht conosce Gianluigi Melega di Panorama. Melega lo vede disegnare e lui si ingegna studiando linee e spirito di vignettisti inglesi e francesi. Il primo politico italiano che esce dalla sua penna nera è un Andreotti che nel tempo spesso avrà i canini da Dracula tanto da farlo diventare, in un suo libro raccolta, Andreacula. Il tratto delle sue caricature è rigoglioso, il tono guascone e irriverente, la caratterizzazione del potere e dei potenti (tutti, nessuno escluso) è dilaniante, spesso animale (all’indomani degli attentati di mafia del 1992 disegna la Sicilia con una enorme faccia da caimano), legata a imperfezioni fisiche o atteggiamenti ricorrenti.
Forattini si è sempre definito politicamente “liberale” e per questo che quando Scalfari lo chiama a Repubblica sul finire dei Settanta è più contento che mai. Sono meno contenti molti politici, praticamente tutti di sinistra, tanto che la ventina di querele raccolte in 50 anni di carriera Forattini le riceve soprattutto da comunisti ed ex comunisti. Quella del 1991 arriva da Achille Occhetto, disegnato come prostituta che prende i soldi russi da Gorbaciov, che pure la vince. Poi quando sul finire degli Anni novanta emerge la lista Mitrokhin, ecco che il pennarello di Forattini ritrae D’Alema, allora in auge leader Ds nonché presidente del Consiglio, a sbianchettare un lungo foglio arrotolato. Una voce da fuori ufficio dice: “Allora è pronta questa lista?”. E D’Alema: “Un momento non si è ancora asciugato il bianchetto”.
Il leader diessino querelerà Forattini chiedendogli 3 miliardi di danni, poi ritirerà la querela con un mezzo carpiato del vignettista in mezzo. Intanto Forattini si dipinge perfino dietro le sbarre reclamando libertà di satira. Aveva fatto miglior figura Andreotti a non sporgere mai querele, anzi del disegnatore di origine romana dirà sempre: “Che devo dire di Forattini? Mi ha inventato lui”. Tanto che a ripercorrendo gli Anni di piombo e il decennio degli Ottanta, Forattini sosterrà sempre che in quegli anni i giornali “erano più liberi di quanto non lo siano oggi”. “Quando Scalfari mi diceva ‘Questa vignetta non la posso pubblicare’, io rispondevo ‘Io non te ne faccio un’altra, mettici la tua foto’ e la questione finiva lì”.
Anche se durante il caso D’Alema-Mitrokhin, Forattini sostenne che l’allora direttore di Repubblica, Ezio Mauro, “non aveva alzato un dito” per difenderlo. Per quella vignetta Forattini venne tacciato, ca va sans dire, di essere fascista e berlusconiano. Fu lui comunque a dire che “con il ’68 e i suoi postumi è cominciato il declino del Paese (…) dei ragazzotti negli Anni settanta mi insultarono e picchiarono, uno si passò la mano sulla gola per dirmi che me l’avrebbe tagliata”. A Forattini semmai una cosa che piaceva era essere pagato bene.
Dal 1982 al 1984 fa una pausa da Repubblica e accetta l’offerta degli Agnelli alla Stampa, dove tornerà dal 2000 al 2005. Mentre tra il 2006 e il 2008 accetta l’offerta di Berlusconi al Giornale. Anche se le vignette sul Cav. (sempre rigorosamente con tacchi enormi e una quantità di denti imprecisata) e le sue alcove non sono mai troppo piaciute dalle parti di Arcore. Amici come prima, ma nemmeno tanto. Libertà di satira e di penna. Negli ultimi anni non disegnava più. Lui, abituato a ispirarsi al Tg delle 13. Qualche schizzo su un foglio. A metà pomeriggio la vignetta finale. L’invio al giornale attorno alle 19 tramite fax. Rigorosamente tutto da casa. “La caricatura è un istinto, è quasi involontaria”. Meditate vignettisti contemporanei. Meditate.