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Ddl Disforia, noi famiglie di giovani persone trans chiediamo che il governo ci ascolti sulla triptorelina

Le testimonianze delle famiglie contro il ddl Disforia che limiterebbe l'accesso alla triptorelina per i giovani transgender, definita un farmaco salvavita
Ddl Disforia, noi famiglie di giovani persone trans chiediamo che il governo ci ascolti sulla triptorelina
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È iniziata da qualche giorno ormai la discussione sul ddl Disforia, che vorrebbe introdurre nuove restrizioni sull’uso dei farmaci per i percorsi di affermazione di genere per le persone più giovani. In pratica vorrebbe vietarli ma senza dirlo o farlo in maniera esplicita, poiché di fatto vietarli non può. Certo è che introducendo una serie infinita e disumana di restrizioni dovute a ideologie – le loro – che privano della dignità umana persone che hanno solo diritto alla vita, finirebbe per ottenere lo stesso risultato di un divieto, divieto che almeno dalla sua avrebbe l’assunzione di responsabilità. Invece in questo caso dobbiamo anche, secondo loro, ringraziare perché “pensano ai bambini”.

Noi famiglie di giovani persone transgender, firmatarie già della lettera inviata ad agosto contro questo provvedimento, continuiamo a portare una voce unita: quella di chi ha visto la serenità dei propri figli e delle proprie figlie rinascere grazie alla triptorelina, il farmaco che sospende la pubertà e che evita quindi lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie. Noi siamo con i nostri figli e con le nostre figlie e non smetteremo mai di combattere.

Per questo abbiamo pronto un documento da inviare al governo italiano in cui citiamo studi, testimonianze e possibili emendamenti, scritti insieme all’avv. Matteo Mammini, affinché si possa capire l’assurdità ma soprattutto la pericolosità di questo ddl, scritto peraltro senza che il tavolo tecnico creato proprio per analizzare i percorsi di affermazione di genere avesse prodotto alcun verbale.

Da oltre trent’anni i cosiddetti “sospensori della pubertà” sono impiegati in tutto il mondo come pratica clinica consolidata. Gli studi internazionali – dal TransYouth Project di Olson e Gülgöz fino alle ricerche olandesi di de Vries – dimostrano che l’identità di genere dei bambini e delle bambine transgender è stabile nel tempo e che i percorsi affermativi, inclusa la soppressione puberale, riducono ansia, depressione e rischio suicidario. Il documento chiarisce che la triptorelina non è un esperimento, ma un trattamento reversibile e sicuro, indicato anche in condizioni pediatriche come la pubertà precoce. Imporre comitati etici o registri speciali come vorrebbe il ddl significherebbe introdurre barriere inutili che ritardano cure salvavita.

Le testimonianze che riportiamo nel documento sono essenziali: “Mi viene un sorriso amaro nel dover spiegare qualcosa di così semplice”, racconta R., madre di N., dal nord-ovest d’Italia. “L’unico obiettivo era fermare un cambiamento che avrebbe devastato psicologicamente nostra figlia. Quando mi diceva ‘ti prego mamma, fai in modo che non mi cresca la barba’, ho capito che da quella possibilità dipendeva la sua serenità“. Anche L., padre di D., parla di un prima e un dopo: “Vedere la propria figlia perdere la luce nello sguardo è un dolore immenso. La terapia con i sospensori della pubertà ha allontanato le ombre: nostra figlia ha ritrovato la serenità, la possibilità di sognare una vita adulta ‘normale’.”

La correlazione tra accesso tempestivo ai trattamenti e miglioramento del benessere è confermata da innumerevoli studi che non si possono ignorare. Il ddl invece continua a rifarsi alle campagne anti gender che citano produzioni ascientifiche. Per molte di noi famiglie, la triptorelina ha significato letteralmente la vita. “Prima della prescrizione – racconta A., madre di una ragazza del Centro Italia – nostra figlia era a rischio suicidario. Con i sospensori ha ricominciato a frequentare la scuola e a vivere come tutte le adolescenti”. Altre testimonianze arrivano da chi non ha potuto accedervi in tempo. C., madre di un ragazzo oggi adulto, spiega: “Mio figlio ha sofferto a ogni ciclo mestruale e ha dovuto subire un intervento di mastectomia che si sarebbe potuto evitare. I sospensori ti cambiano la vita”.

Negare l’accesso ai bloccanti non è una misura di prudenza, come vogliono far credere, ma una forma di abbandono. “Senza i bloccanti mia figlia sarebbe impazzita – afferma R., madre di L. – Aveva già parlato di suicidio. I farmaci le hanno permesso di sopravvivere”.

Il nostro documento cita inoltre il parere della comunità scientifica internazionale: la World Professional Association for Transgender Health (Wpath) e la sua sezione europea Epath ribadiscono che la soppressione puberale è una pratica appropriata, da gestire da équipe multidisciplinari con consenso informato, senza filtri burocratici che ne compromettano la tempestività. Per questo chiediamo che il Parlamento ascolti la voce della scienza e delle vite reali. “Ogni giorno che passa – scrive C., madre di A. – vedo i tratti maschili aumentare, gettandola nello sconforto. Se non potrà assumere la triptorelina, le sarà negata la sua dignità di essere umano”. Anche C., madre di V., lancia un appello: “Ragazzi e ragazze come mia figlia sono felici grazie alla triptorelina. È un farmaco salvavita e va visto come tale. Gli studi lo dimostrano, ed è reversibile. Togliere questa possibilità sarebbe rovinare tante giovani vite”.

I dati, la letteratura medica e le testimonianze convergono: la triptorelina non è un capriccio né un pericolo, ma uno strumento che riduce sofferenza e salva vite. Limitarne l’accesso significherebbe riportare indietro di decenni la tutela della salute di ragazzi e ragazze che chiedono solo tempo, serenità, ascolto e soprattutto diritto a una vita come ogni altra persona. Come scrive una madre nel documento, “non c’è niente di sbagliato nel cercare di stare bene. È ciò che tutti facciamo, ogni giorno”.

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